La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 12 agosto 2015

La terza via di Adriano Olivetti. La socializzazione del potere

di Damiano Mazzotti
L’illustre sociologo Franco Ferrarotti ha pubblicato un libretto che rievoca la figura di Adriano Olivetti, un imprenditore e un intellettuale fuori da ogni schema che morì nel 1960.
“La concreta utopia di Adriano Olivetti” (www.dehoniane.it, 2013, 104 pagine), è un saggio illuminante e chiaramente autobiografico, data l’intensa collaborazione tra Ferrarotti e Olivetti, dal 1948 al 1960. Purtroppo non è possibile rendere bene l’idea di una bella pubblicazione con una breve recensione, però citerò le migliori considerazioni emerse (il libro costa poco più di 6 euro).
La prima risale al primo incontro tra Ferrarotti e Olivetti, e al momento in cui lo squattrinato e imbucato Franco “confessa” le sue opinioni a un presunto sconosciuto (Olivetti). Nel dialogo sempre più fitto emerge una frase del sociologo che come una freccia si ficca nella mente visionaria dell’imprenditore: “Non basta nazionalizzare, socializzare la proprietà. Bisogna socializzare il potere” (Ferrarotti si riferiva alle nazionalizzazioni inglesi del dopoguerra).
La seconda considerazione riguarda la crisi istituzionale e politica che emerge in Italia. Per Olivetti “La crisi della società contemporanea non nasce… dalla macchina, ma dal persistere, in un mondo profondamente mutato, di strutture politiche inadeguate” e di istituzioni bloccate.
In una società al passo coi tempi i lavoratori non vanno addestrati: “Gli animali si addestrano. Le persone si educano” (Olivetti). I cittadini devono essere istruiti e informati continuamente. Le istituzioni democratiche devono proteggere gli scambi individuali e i processi di comunicazione a tutti i livelli. Quindi “Senza un rinnovamento radicale, che sia organizzativo ma anche morale, intellettuale e politico, i partiti politici continueranno, specialmente in Italia, a essere percepiti dai cittadini come distratte truppe straniere d’occupazione in un Paese che non conoscono e che si limitano a spremere fiscalmente e a sfruttare. Parassiti, non rappresentanti” (Ferrarotti, p. 46).
Un esame accurato della storia mondiale e delle vicende accademiche e politiche italiane ci dimostra però che il cimitero è l’unica istituzione in grado di garantire il diritto alla conoscenza e il dovere del miglioramento personale e sociale. Infatti fino a quando le persone più potenti e più conservatrici saranno vive e vegete, le possibilità di cambiare qualcosa sono quasi sempre ridotte al lumicino. Le rivoluzioni sociali e culturali non sono cose da tutti i decenni.

Fonte: Pressenza.com

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