La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 12 agosto 2015

Syriza, è ora di passare al contrattacco

di Dimitri Deliolanes
Il dif­fi­cile accordo del 12 luglio sta con­di­zio­nando in maniera pro­fonda sia l’agenda del governo greco sia la stessa con­for­ma­zione di Syriza. Ale­xis Tsi­pras ne sem­bra con­sa­pe­vole, a giu­di­care dalle nume­rose inter­vi­ste e dichia­ra­zioni fatte da quella data. Non solo la piena ammis­sione di un deciso ripie­ga­mento rispetto al suo pro­gramma di governo e la con­se­guente auto­cri­tica, ma anche rifles­sioni sul nuovo per­corso da seguire.
Il capo del governo greco insi­ste sul fatto che que­sto terzo memo­ran­dum di auste­rità sia il frutto di un «ricatto»: la scelta era tra «un com­pro­messo dolo­roso o una cata­strofe eco­no­mica», che lui descrive in que­sti ter­mini: «Se avessi seguito il mio cuore, di alzarmi dal tavolo e andar­mene, in quel pre­ciso istante sareb­bero crol­late le ban­che gre­che. Que­sto crollo avrebbe signi­fi­cato non il taglio dei depo­siti nei conti cor­renti ma che non ci sareb­bero più stati conti correnti».
Lo sce­na­rio descritto dal pre­mier greco è rea­li­stico. Di fatto però egli si trova a ripe­tere esat­ta­mente le argo­men­ta­zioni usate anche dai suoi pre­de­ces­sori: la per­ma­nenza nell’eurozona non per­met­teva scelte di tipo diverso.
L’opposizione di sini­stra den­tro il suo par­tito lo accusa di aver tra­dito il mes­sag­gio del refe­ren­dum, che era quello di dire No alla poli­tica di auste­rità «a qual­siasi costo». Tsi­pras risponde: «Dire che il gran­dioso No al refe­ren­dum equi­va­leva a un gran­dioso Sì alla dracma è una fal­si­fi­ca­zione». In effetti, nel suo appello per il No, egli lo aveva moti­vato con la neces­sità di avere un’arma in più sul tavolo delle trat­ta­tive. L’uscita dall’eurozona non era mai stata presa in con­si­de­ra­zione, né al refe­ren­dum né alle ele­zioni del 25 gennaio.
Que­sto abba­glio stra­te­gico pone degli inter­ro­ga­tivi rispetto alle lun­ghe trat­ta­tive con i cre­di­tori: «Fin dal 20 feb­braio siamo stati tra­sci­nati in un nego­ziato che mirava solo a logo­rarci. Con il senno di poi dico che abbiamo fatto male, era evi­dente che alla fine si sarebbe arri­vati al punto in cui siamo ora. Ma la spe­ranza è l’ultima a morire. In ogni modo, sono orgo­glioso di quanto fatto in que­sti mesi, anche se abbiamo fatto molti errori, per i quali io sono il solo responsabile».
Tsi­pras ha più volte dichia­rato di non aver pro­messo agli elet­tori «una pas­seg­giata». Non è esat­ta­mente così. Spesso, nell’impeto pre­e­let­to­rale, l’abbattimento della poli­tica di auste­rità sem­brava pro­prio una«passeggiata», con cambi repen­tini di poli­tica eco­no­mica «con una sola legge» men­tre i mer­cati «bal­lano al nostro ritmo». L’opinione pub­blica greca cono­sce bene que­sta con­trad­di­zione, ma non si scan­da­lizza più di tanto. È delusa del risul­tato ma con­ti­nua a soste­nere il governo, nella con­vin­zione che non ha «tra­dito» ma è stato costretto a ripie­gare, rico­no­scen­do­gli in pieno le buone intenzioni.
Il refe­ren­dum stesso non è stato un errore, ritiene Tsi­pras. Era una scelta «di grande rischio. Erano tutti con­tro di noi. L’atteggiamento orgo­glioso del popolo greco nel refe­ren­dum, con­tro ogni avver­sità, è riu­scito a pro­iet­tare il pro­blema in tutta l’Europa e a mostrare in tutta la sua cru­dezza il volto disu­mano dei part­ner euro­pei. La com­pat­tezza dell’eurozona ha rag­giunto il suo limite». La verità è che le frat­ture all’eurozona sono emerse dopo il refe­ren­dum, di fronte all’esplicita volontà puni­tiva mostrata da Schau­ble e dal governo tede­sco. Ma è anche vero che è stato un trionfo per Tsi­pras e ha mostrato in maniera evi­dente che non è imma­gi­na­bile alcuna solu­zione poli­tica in sua assenza.
Il punto più deli­cato per il pre­mier greco è ovvia­mente il con­te­nuto dell’accordo rag­giunto. Anche se ne rifiuta ogni pater­nità, Tsi­pras insi­ste nel sot­to­li­neare gli aspetti «posi­tivi». Non solo l’importante impe­gno a ristrut­tu­rare il debito greco entro l’anno ma anche altri aspetti: «Se non fos­simo stati noi al governo, la Gre­cia sarebbe stata costretta ad avere un avanzo pri­ma­rio del 3,5% per il 2015 e del 4,5% dal 2016 in poi. Oggi siamo impe­gnati a rag­giun­gere un avanzo del 3,5% entro il 2018. Il nego­ziato ha evi­tato all’economia greca tagli per più di 15 miliardi».
Ma l’aspetto più impor­tante è quello poli­tico: «L’accordo è stato una vit­to­ria di Pirro per i cre­di­tori, una grande vit­to­ria morale della Gre­cia e del governo di sini­stra e sicu­ra­mente un com­pro­messo dolo­roso. Dopo il 12 luglio l’Europa non è più la stessa». Sicu­ra­mente c’è una buona dose di esa­ge­ra­zione, ma biso­gna ammet­tere che l’enorme pro­ie­zione media­tica e il forte ele­mento dram­ma­tico dei nego­ziati hanno susci­tato un grande inte­resse e sim­pa­tia verso la Gre­cia e costretto il governo tede­sco a respin­gere attac­chi pro­ve­nienti per­fino dalla stessa stampa della Germania.
In que­sta nuova situa­zione, il lea­der ripo­si­ziona i nuovi com­piti del suo par­tito e del governo: «Dob­biamo rive­dere velo­ce­mente il nostro pro­getto poli­tico. Dob­biamo ricom­pat­tarci e pas­sare al con­trat­tacco. Que­sto nostro pro­getto deve essere di sini­stra. Non può essere né della destra né dei socia­li­sti, loro dicono che se il memo­ran­dum non ci fosse biso­gne­rebbe inven­tarlo. Noi diciamo che è una ricetta sba­gliata. I rap­porti di forza erano sfa­vo­re­voli e siamo stati costretti ad accet­tarlo. Ora diamo bat­ta­glia per sov­ver­tirlo, per uscirne gradualmente».
Tsi­pras difende con pas­sione la neces­sità di rima­nere al governo, in modo da poter «com­bat­tere da posi­zioni di forza i pri­vi­legi dell’oligarchia». Per que­sto ci vuole un nuovo Syriza: «La natura plu­ra­li­sta e poli­fo­nica del par­tito può essere un ele­mento posi­tivo quando siamo all’opposizione. Quando però il par­tito deve gover­nare, que­sto plu­ra­li­smo viene espresso anche in Par­la­mento. La mag­gio­ranza non può svol­gere le sue fun­zioni e non ci può essere una mag­gio­ranza à la carte. Né si può dire di soste­nere il governo e votare con­tro le sue pro­po­ste. La verità è che den­tro il nostro par­tito ci sono stra­te­gie diverse. Io rispetto que­ste dif­fe­renze e per que­sto non ho chie­sto misure disci­pli­nari. Temo però che da tempo siano state prese deci­sioni in favore di uno scon­tro con i cre­di­tori e quindi di pro­vo­care una frat­tura del par­tito. Io sono il garante dell’unità di Syriza e farò di tutto per sal­va­guar­darla. Ma non ci può essere unità per forza».

Fonte: il manifesto

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