La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 settembre 2015

Agnes Heller: Orbán, il Bonaparte dell’odio

Intervista a Agnes Heller di Massimo Congiu
Abbiamo incon­trato la filo­sofa Ágnes Hel­ler nel suo appar­ta­mento di Pest per par­lare con lei di come il governo unghe­rese sta gestendo l’emergenza migranti.
Come valuta la poli­tica di Orbán sull’immigrazione?
"Orbán ha comin­ciato male per­ché prima ancora che arri­vas­sero i migranti aveva dif­fuso nelle città dei car­tel­loni recanti mes­saggi capaci di inco­rag­giare l’avversione con­tro di loro. Anche ora mi è capi­tato di vederne alcuni con su scritto che secondo i son­daggi oltre il 90% degli unghe­resi non vuole i migranti, ma non c’è da stu­pir­sene per­ché il governo ha fatto di tutto per otte­nere que­sto risul­tato. Posso dire che è dif­fuso il pre­giu­di­zio nei con­fronti di que­sta gente che ha una men­ta­lità diversa, crede in un altro dio, ma aggiungo che un governo dav­vero demo­cra­tico ha il com­pito di sti­mo­lare i buoni istinti, la volontà di aiu­tare, e non l’odio. Con que­sti pre­sup­po­sti la gente con­ti­nuerà a pro­vare avver­sione nei con­fronti di chi viene da fuori ma potrà avere la coscienza tran­quilla e dire di essersi com­por­tata in que­sto modo per­ché il governo glielo chie­deva. La cosa è stata gestita male dall’inizio, non c’erano inter­preti di arabo, il governo ha riem­pito le città di que­sti mani­fe­sti e prima ancora che l’emergenza vera e pro­pria ini­ziasse c’era già caos. Non sono stati nean­che creati da subito dei punti nei quali si potes­sero ese­guire le ope­ra­zioni di regi­stra­zione, non è stato fatto niente in que­sto senso e ciò è peri­co­loso per l’Europa. Poi Orbán ha detto che quelli che ven­gono qui non sono dei pro­fu­ghi ma dei ter­ro­ri­sti o gente che vuole la nostra ric­chezza, il nostro lavoro, e que­sto non è vero. Quello che posso dire è che occorre pro­ce­dere all’identificazione dei migranti; se que­sto non si fa pos­sono pas­sare il con­fine anche per­sone peri­co­lose. Il paese non si è orga­niz­zato in que­sto senso e ne è nata una situa­zione caotica."
La poli­tica del governo Orbán può essere vista anche con un atto dimo­stra­tivo con­tro l’Ue?
"Direi che que­sta poli­tica ha due fun­zioni: da una parte ha gene­rato un con­flitto tra il cen­tro e la peri­fe­ria dell’Europa al quale par­te­ci­pano anche la Slo­vac­chia e la Repub­blica Ceca, dall’altra ha agito in ter­mini di poli­tica interna con una gara tra il Fidesz e Job­bik su chi rie­sce a inco­rag­giare più avver­sione. Credo che sia una com­pe­ti­zione dif­fi­cile, capace di far pas­sare in secondo piano i pro­blemi reali del paese. Se non ci fosse que­sta mani­po­la­zione dell’emergenza migranti la gente capi­rebbe che le cose non vanno bene in Unghe­ria, invece ha subito una cam­pa­gna mar­tel­lante su que­sto argo­mento e la sua atten­zione nei con­fronti dei pro­blemi interni è stata distolta. La poli­tica di Orbán nei con­fronti dell’Europa può anche far sì che altri paesi pic­coli della parte centro-orientale del con­ti­nente dicano che se Orbán attacca l’Ue e non gli suc­cede niente allora tanto vale seguire il suo esem­pio. Di fatto anche altri paesi della regione hanno imboc­cato que­sta strada."
Dopo il 1989 la gente si aspet­tava un’Europa senza stec­cati e ora assi­stiamo al ritorno delle recin­zioni col filo spi­nato alle frontiere.
"Sì, all’epoca sogna­vamo vera­mente un’Europa senza bar­riere e fron­tiere, carat­te­riz­zata dalla libera cir­co­la­zione di per­sone e beni ma non è andata così. Ora vado in Mes­sico a tenere una con­fe­renza sul tema delle rivo­lu­zioni. La domanda è: le rivo­lu­zioni ven­gono tra­dite? Io dico di sì."
Quando ci siamo incon­trati quat­tro anni fa e abbiamo par­lato di Orbán lei l’ha defi­nito affetto da bona­par­ti­smo. Ora?
"Riba­di­sco il con­cetto. Orbán mostra tutti i sin­tomi del bona­par­ti­smo. Non è una defi­ni­zione molto popo­lare in Unghe­ria dove si pre­fe­ri­sce appli­care l’etichetta di fasci­sta o nazi­sta. Io dico tut­tora che quella del primo mini­stro unghe­rese è una poli­tica carat­te­riz­zata da un atteg­gia­mento bona­par­ti­sta, ma la gente non mi capi­sce. Devo però dire che quando ho fatto que­sta osser­va­zione a Parigi tutti hanno capito."
Come vede il feno­meno dell’immigrazione?
"Come filo­sofa penso che con­ti­nuerà. Magari potrà cono­scere una fase di ral­len­ta­mento ma non si fer­merà. Le ricette alle quali si sta pen­sando per evi­tare che con­ti­nui sono desti­nate a fal­lire. La comu­ni­ca­zione glo­bale che avviene tra­mite la rete con­tri­bui­sce al feno­meno e non si può tor­nare indie­tro. Un siriano ci mette un attimo a vedere su inter­net al com­pu­ter o sul suo cel­lu­lare quanto gua­da­gna un ope­raio in Ger­ma­nia. Una delle solu­zioni alle quali si pensa è quella di man­dare dei mili­tari in Siria, ma io vedo solo un alter­narsi di tiranni, uno se ne va e l’altro arriva, e la situa­zione non cam­bia. Lot­tiamo con­tro i traf­fi­canti di esseri umani che cer­cano di por­tare la gente in Europa ed è un’operazione estre­ma­mente dif­fi­cile. Da 60 anni lot­tiamo con­tro quelli che smer­ciano droga e il risul­tato l’abbiamo visto. Così con le solu­zioni pro­spet­tate oggi, non ce la faremo. Poi c’è il pro­blema della con­vi­venza. L’Europa è fatta di stati nazio­nali che nella mag­gior parte dei casi si sono impe­gnati più sul fronte dell’assimilazione che su quello dell’integrazione. Que­sto orien­ta­mento porta ine­vi­ta­bil­mente a uno scon­tro di ideo­lo­gie. Tor­nando al feno­meno dell’immigrazione non posso ancora dire che siamo di fronte a una svolta sto­rica, lo vedremo più avanti. Del resto i migranti che arri­vano sono ancora lo 0.6% della popo­la­zione euro­pea. Si vedrà più avanti se stiamo entrando in una nuova fase della nostra sto­ria. Una volta György Lukács ha detto che entrare in una nuova epoca è un po’ come cam­mi­nare per strada e cer­care di non cal­pe­stare una merda. Anch’io la penso così. Biso­gna stare attenti."
Per Orbán que­sto con­si­stente flusso di migranti minac­cia la cul­tura europea.
"Quale cul­tura? Quella del fasci­smo e del nazi­smo? Forse quella della Prima guerra mon­diale o della Seconda, quella dei 6 milioni di per­sone nei lager, non so. O ancora quella del bol­sce­vi­smo? Orbán non può fare que­sto genere di cri­tica per­ché non è libe­rale, ha detto lui stesso di essere anti­li­be­rale. Io invece posso fare que­ste cri­ti­che per­ché sono libe­rale. Ci sono deter­mi­nati valori in Europa, come ad esem­pio quello secondo cui ognuno deve essere libero e può fare quello che vuole. Que­sti sono i veri valori. Ma a dire il vero nel nostro con­ti­nente il libe­ra­li­smo non ha radici pro­fonde nean­che nei paesi occi­den­tali, figu­ria­moci in quelli orientali."
Comun­que c’è una certa inquie­tu­dine tra le gente a fronte del feno­meno dell’immigrazione.
"Sì, la gente ha paura. In tutti noi c’è la paura di ciò che non cono­sciamo. L’importante però è che que­sto sen­ti­mento non si tra­sformi in osti­lità. Si può anche essere curiosi, io lo sono, per esem­pio, e voglio cono­scere chi è diverso. Spesso ci limi­tiamo a pro­vare dispia­cere di fronte alla tv quando vediamo i bam­bini afri­cani che muo­iono di fame o i siriani che vivono sotto le bombe. Ci limi­tiamo a que­sto e pen­siamo che tutto som­mato loro sono lì e noi siamo qui. In que­sto caso però il dispia­cere è solo este­tico e non si tra­sforma in empatia."
Il governo dice che la stampa inter­na­zio­nale ha avviato una cam­pa­gna deni­gra­to­ria nei con­fronti dell’Ungheria?
"Devo dire che il più delle volte i media hanno rac­con­tato cor­ret­ta­mente quello che è suc­cesso in Unghe­ria in que­sto periodo, ma non tutti l’hanno fatto. Non tutti sono stati obiet­tivi. Hanno par­lato di Orbán, di fron­tiere chiuse, di filo spi­nato ma non di quelli che hanno aiu­tato e aiu­tano ancora i migranti offrendo loro da bere, da man­giare e orga­niz­zando altre ini­zia­tive bene­fi­che. Il com­por­ta­mento di que­ste per­sone non è este­tico ma etico."
Di recente Orbán ha pro­po­sto che i migranti ven­gano accolti in campi pro­fu­ghi situati nei paesi vicini agli sce­nari di guerra, sotto la super­vi­sione dell’Ue.
"Si tratta di una pro­po­sta così illo­gica che non vale nem­meno la pena di pen­sarci su. Qui in Unghe­ria abbiamo vil­laggi deso­lati, pres­so­ché vuoti, oltre mezzo milione di unghe­resi se n’è andato all’estero a lavo­rare e cre­sce l’età media, gli anziani sono sem­pre più nume­rosi. 10 mila per­sone potreb­bero venire qui a ripo­po­lare quei vil­laggi e fare lavori che noi non fac­ciamo più. Ma cosa ha in testa Orbán?"

Fonte: il manifesto

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.