La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 settembre 2015

Per un melone

di Gianmario Leone
Sono ancora molti i punti oscuri su cui fare luce nell’omicidio del brac­ciante di 37 anni ori­gi­na­rio del Bur­kina Faso, Sare Mamou­dou, ucciso nella serata di lunedì nelle cam­pa­gne di Lucera in pro­vin­cia di Fog­gia. Con il pas­sare delle ore infatti, cre­scono i dubbi sulla ver­sione “uffi­ciale” for­nita in un primo momento, secondo la quale Sare e altri due suoi amici brac­cianti si erano recati nel campo della fami­glia Pia­cente per rubare qual­che melone. Man­cato furto che avrebbe por­tato a una col­lut­ta­zione tra il pro­prie­ta­rio del ter­reno, il 67enne Fer­di­nando Pia­cente e il figlio, il 27enne Raf­faele, e i tre brac­cianti che avreb­bero ten­tato un fuga ter­mi­nata nel sangue.
In realtà, i fatti non sta­reb­bero esat­ta­mente così. Dopo l’assemblea della comu­nità del Bur­kina Faso di mar­tedì sera nel ghetto di Rignano Gar­ga­nico, arri­vano con­ferme anche dalla Flai Cgil Puglia al lavoro, al pari dei Cara­bi­nieri della com­pa­gnia di Lucera affian­cati dai col­le­ghi di Fog­gia, per fare luce sull’accaduto. Prende infatti sem­pre più con­si­stenza l’ipotesi che Sare, Kadago Adam — ferito ma non in peri­colo di vita — e un terzo brac­ciante di cui ancora non si cono­scono le gene­ra­lità, si fos­sero recati nella tenuta dei Pia­cente per chie­dere di poter lavo­rare nella rac­colta dei meloni.
Alla rispo­sta nega­tiva otte­nuta dal pro­prie­ta­rio del ter­reno, avreb­bero chie­sto di poter por­tare via qual­che melone. Richie­sta accet­tata e sod­di­sfatta dal pro­prie­ta­rio Fer­di­nando Pia­cente, che avrebbe detto a Sare e ai suoi amici di pren­derli e poi di andare via. Pare però che il figlio Raf­faele, assente in un primo momento e non avendo assi­stito a tutto ciò, sia soprag­giunto nella pro­prietà di fami­glia men­tre i tre brac­cianti si allon­ta­na­vano con i meloni: a quel punto li avrebbe vio­len­te­mente redar­guiti, e stando alla testi­mo­nianza dell’unico brac­ciante non ferito, anche aggre­diti fisi­ca­mente. Da qui sarebbe nata la col­lut­ta­zione durante la quale il figlio di Pia­cente pare sia stato col­pito al naso. Ed è forse que­sto ciò che vede il padre e il motivo che avrebbe fatto scat­tare in lui una vio­lenza cieca: prima spara un paio di colpi in aria, sotto forma di avver­ti­mento. Sare e i suoi due amici scap­pano verso la loro auto e pro­vano la fuga. Ma i Pia­cente par­tono all’inseguimento dei tre: un altro colpo di fucile, dopo pochi chi­lo­me­tri, fora una delle ruote della vet­tura che fini­sce fuori strada e costringe i tre brac­cianti alla fuga a piedi. Non con­tento, Fer­di­nando Pia­cente prende la mira e spara tre colpi: due feri­scono mor­tal­mente Sare, men­tre un terzo coglie in pieno petto Kadago Adam che resta a terra. L’ultimo dei tre, di cui ancora non si cono­scono le gene­ra­lità, rie­sce a fug­gire nei campi sal­van­dosi la vita.
E’ chiaro che sono troppi gli aspetti che non qua­drano. Che non spie­gano il per­ché di una vio­lenza cieca, spie­tata. Non è però del tutto sor­preso degli avve­ni­menti di Lucera, il segre­ta­rio della Flai Cgil Puglia, Giu­seppe Deleo­nar­dis. «Il ter­ri­to­rio della pro­vin­cia di Fog­gia da anni si è tra­sfor­mato in un moderno Far West dove ognuno si fa giu­sti­zia da sé» com­menta. Spe­cial­mente nel campo dell’agricoltura, dove «la men­ta­lità per certi versi è ancora di stampo medioe­vale — pro­se­gue Delo­nar­dis -. Qui il padrone del campo può tutto: sfrut­tare, sot­to­pa­gare, farsi giu­sti­zia da solo, spa­rare ai pre­sunti ladri e via dicendo: qui c’è un’illegalità dif­fusa». Che in agri­col­tura si sposa appieno con il feno­meno del capo­ra­lato: da que­sta pro­vin­cia ogni anno tran­si­tano migliaia di brac­cianti agri­coli pro­ve­nienti dall’Africa e dai paesi dell’Est, che ven­gono impie­gati soprat­tutto nei mesi estivi, a nero, sot­to­pa­gati, sfrut­tati, costretti a vivere in barac­che o nei ’famosi’ ghetti.
Come ricorda lo stesso Deleo­nar­dis, «vi basti pen­sare che sol­tanto la scorsa set­ti­mana in un’azienda agri­cola in pro­vin­cia di Lucera, le forze dell’ordine hanno sco­perto 13 lavo­ra­tori a nero su 17 pre­senti a lavoro: l’ennesimo caso di asso­luta ille­ga­lità».
La Flai Cgil è pronta a for­nire aiuto legale ai due brac­cianti soprav­vis­suti e a costi­tuirsi parte civile in un even­tuale pro­cesso. Ma la «rivolta sociale» invo­cata spesso dal sin­da­cato, è ancora lungi dal poter vedere l’alba.

Fonte: il manifesto 

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