La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 26 settembre 2015

L’unità non basta ma divisi non c’è storia

di Nicola Fratoianni
La vit­to­ria di Cor­byn alle pri­ma­rie del Labour Party è una ottima noti­zia. La sua affer­ma­zione è una nuova e impor­tante con­ferma che in Europa qual­che crepa si affac­cia nel muro che per diversi decenni si è ele­vato attorno alla rap­pre­sen­ta­zione del neo­li­be­ri­smo come una vera e pro­pria reli­gione, come un dato tra­scen­dente e indiscutibile.
Nella sua affer­ma­zione, come nell’esperienza di Syriza (che con la straor­di­na­ria vit­to­ria elet­to­rale di dome­nica scorsa con­so­lida lo spa­zio costi­tuente di una nuova sini­stra euro­pea, di governo per­ché alter­na­tiva al libe­ri­smo dell’austerity) e di Pode­mos, torna pre­po­tente l’eguaglianza con­tro una insop­por­ta­bile distri­bu­zione della ric­chezza, dei pri­vi­legi e del potere come chiave di let­tura delle con­trad­di­zioni del nostro tempo. La dise­gua­glianza come ten­denza cre­scente, ine­vi­ta­bile e in qual­che modo natu­ra­liz­zata, si è fatta senso comune, fat­tore di assue­fa­zione anche in tanta parte della tra­di­zione della sini­stra in Europa.
Lo schianto della fami­glia del socia­li­smo euro­peo prima ancora che nei risul­tati elet­to­rali nella dram­ma­tica inca­pa­cità di arti­co­lare una rispo­sta di sini­stra alla crisi e ai sui effetti sulla vita delle per­sone sta lì a testi­mo­niarlo. Nella soli­tu­dine di Tsi­pras davanti al fana­ti­smo rigo­ri­sta dei garanti dell’austerità, nell’incapacità di opporre ai «muri di Orban» cor­ri­doi uma­ni­tari e una visione strut­tu­rale capace di tenere insieme poli­tica estera, coo­pe­ra­zione, inte­gra­zione e accoglienza.
Ma soprat­tutto nell’assenza di una alter­na­tiva al libe­ri­smo, inca­pace per esem­pio di pen­sare un green new deal e un pro­getto di ricon­ver­sione eco­lo­gica dell’economia euro­pea. Di fronte a que­sto qua­dro l’anomalia ita­liana salta all’occhio. Ma si tratta di una ano­ma­lia negativa.
Qui, da noi, la sini­stra resta con­fi­nata in uno spa­zio mar­gi­nale. Fac­cio parte di una forza poli­tica a cui riven­dico il merito di aver tena­ce­mente tenuta aperta una porta. Ma so che quello spa­zio è costan­te­mente a rischio. Abbiamo pro­vato con Ita­lia Bene Comune ad inve­stire su un cam­bio di rotta. Allora il Pd di Ber­sani pur non senza con­trad­di­zioni sem­brava dispo­ni­bile a pro­varci. Oggi con Mat­teo Renzi tutto è cam­biato. O riu­sciamo a spa­lan­care quella porta oppure il rischio che si richiuda, e così resti per molto tempo, mi pare assai elevato.
L’agenda del Governo Renzi corre veloce. Diritti del lavoro, carat­tere pub­blico della scuola, riforma della costi­tu­zione e legge elet­to­rale sono il ter­reno di un attacco gene­rale ai diritti del lavoro e alla demo­cra­zia par­la­men­tare. Allora non pos­siamo più aspettare.
So bene che non esi­stono scor­cia­toie e so anche che non basta imma­gi­nare di som­mare le forze che ci sono. Ma fac­cio una domanda: c’è qual­cuno che al di fuori del cir­cuito degli addetti ai lavori, qual­cuno di quelli che vor­remmo rap­pre­sen­tare e che attende rispo­ste, che possa ancora capire la fram­men­ta­zione che carat­te­rizza la sini­stra poli­tica ita­liana? Io penso di no. Per que­sto dico che una parte dell’innovazione su cui dob­biamo lavo­rare riguarda anche que­sto aspetto.
L’unità non basta, ma divisi non c’è sto­ria. Abbiamo allora biso­gno di aprire al più pre­sto un pro­cesso costi­tuente. Né una fede­ra­zione né un accordo pat­ti­zio, né tan­to­meno una lista elet­to­rale come già è stato senza suc­cesso. Un pro­cesso largo e demo­cra­tico nel quale con­fron­tare posi­zioni e punti di vista ma soprat­tutto nel quale rico­min­ciare a cer­care. Qual­cuno si pre­oc­cupa dell’esito di que­sto processo.
C’è il rischio che ne venga fuori un sog­getto mino­ri­ta­rio, si dice. Ma forse è nel pro­cesso che que­sto rischio va bat­tuto, anche per­ché non c’è nulla di più mino­ri­ta­rio che non avere una proposta.
Su que­sto fronte a me pare che la sini­stra ita­liana abbia un rile­vante pro­blema di ela­bo­ra­zione. Dall’Europa al lavoro, dal wel­fare al fisco, dalla scuola alla grande que­stione dei muta­menti cli­ma­tici dob­biamo rico­struire un pen­siero e un pro­gramma. Insomma, dob­biamo ride­fi­nire un punto di vista e un pro­filo autonomo.
Quella che vor­rei è una sini­stra che smetta di par­lare di se stessa e torni a par­lare al mondo, e che a par­tire dalla sua visione defi­ni­sca stra­te­gia e tat­tica, alleanze e distanze, invece che ripro­porre come un eterno ritorno una discus­sione su schemi poli­tici astratti e del tutto inca­paci di par­lare alla vita delle persone.
Non mi piace la «voca­zione mag­gio­ri­ta­ria» quando a inter­pre­tarla è il Pd di Mat­teo Renzi. Non mi piace nem­meno se qual­cuno pen­sasse di pro­porla per noi.
La poli­tica delle alleanze è que­stione molto seria e sulla quale una sini­stra che si ponga il pro­blema dell’utilità della poli­tica prima ancora che del governo non può assu­mere atteg­gia­menti schematici.
Ma per porre seria­mente que­sto tema c’è biso­gno che una sini­stra forte ed effi­cace torni in campo, serve che torni ad eser­ci­tare con­flitto, serve che rico­minci ad imma­gi­nare e a costruire pra­tica sociale. Altri­menti le alleanze si tra­sfor­mano in sus­sun­zione e allora è meglio fare altro. Lo dimo­stra la nostra espe­rienza. In tutti i casi dove in que­sti anni si sono svi­lup­pate espe­rienze posi­tive e capaci di deter­mi­nare una contro-tendenza, quelle espe­rienze sono state il risul­tato di un con­flitto, di una con­tesa, per­fino di uno scon­tro tra pro­po­ste di governo diverse tra loro.
Nulla ci è stato rega­lato. Dun­que non per­diamo altro tempo. Si fac­ciano al più pre­sto nuovi gruppi unici a Camera e Senato. Si apra il pro­cesso costituente.
Se le sini­stre del nove­cento sono morte, come ha scritto Nichi Ven­dola, allora ela­bo­rare quel lutto è que­stione che riguarda anche noi.
Allora dob­biamo cam­biare tutto. A comin­ciare da noi.

Fonte: il manifesto 

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