La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 settembre 2015

Le tre strade per la decarbonizzazione profonda dell’economia italiana

di Luca Aterini
L’obiettivo, in teoria, è chiaro: per mantenere l’incremento della temperatura globale al di sotto dei 2°C i palliativi non servono, è necessario intraprendere un percorso di decarbonizzazione profonda. L’Italia fa parte di quel compatto gruppo di 16 Paesi industrializzati che, a vario titolo, contribuisce per il 70% all’emissione in atmosfera di gas climalternati, è ha l’obbligo (e l’opportunità) di ridisegnare la propria economia in termini più sostenibili. Le nostre emissioni di CO2 dovranno diminuire di almeno il 40% (rispetto ai livelli del 1990) nel 2030, e dell’80% nel 2050.
Tra il dire e il fare come sempre c’è di mezzo un abisso, che in questo caso ha poco a che vedere con l’infattibilità tecnica dell’impresa, e molto con scelte di natura politica, che aspettano di essere compiute. Il Deep decarbonization pathway project (Ddp) dell’Onu è giunto a conclusioni chiare, su questo punto, partendo da un contesto globale fino al particolare italiano. Tramite 16 team di ricerca nazionali composti da esperti e studiosi indipendenti, il progetto Ddp mira a definire il modo in cui i singoli paesi possano perseguire un sentiero di transizione verso una low-carbon economy entro il 2050.
«È la prima volta che l’Italia partecipa a questa importante analisi che ha ampio risalto internazionale – ci spiega Simone Borghesi, economista dell’università di Siena e del nostro think tank redazionale, scelto tra i leading authors delle conclusioni del progetto Onu –, andandosi ad aggiungersi così ai 15 paesi che avevano iniziato il progetto diretto da Jeffrey Sachs. In Italia, la ricerca (disponibile in allegato, ndr), coordinata da Enea e Fondazione Eni Enrico Mattei, dimostra con ricchezza di dati e analisi di scenario come sia possibile anche per il nostro paese “decarbonizzare” la propria politica energetica».
Un percorso dove a contare è l’obiettivo ma, come si argomenta nel report, le strade percorribili sono diverse. I ricercatori italiani ne individuano tre: uno scenario composto da Ccs (cattura e sequestro del carbonio) e rinnovabili, uno basato sull’efficienza energetica, e uno sulla riduzione della domanda di energia. Tutte e tre le soluzioni non sono monolitiche, ma rappresentano anzi un mix di strategie che si ritrovano – con pesi diversi – in ognuna delle opzioni indagate. In tutti i casi, la premessa rimane però identica: «Da un punto di vista tecnologico, la decarbonizzazione del sistema energetico appare praticabile», a patto però di non rinunciare – ma anzi rafforzare – gli investimenti in Ricerca e sviluppo, che da troppi anni vedono il nostro Paese in fondo a ogni classifica internazionale.
Scegliere tra le tre opzioni, ognuna adagiata sul particolare tessuto produttivo e di consumo italiano, significa dunque compiere una scelta politica, nella quale entrano in gioco incertezze riguardanti ad esempio l’accettazione sociale della strategia, ma anche l’effettiva disponibilità di tecnologie come il Ccs, da più parti oggetto di scetticismo (e, forse non a caso, proprio lo scenario Ccs viene indicato come il più costoso da percorrere). Per arrivare a una decarbonizzazione profonda gli investimenti necessari sono ingenti, ma anche i guadagni. In tutti e tre gli scenari proposti, grazie a efficienza e produzione da rinnovabili, la bolletta energetica italiana potrà calare di 10 miliardi di euro al 2020 rispetto allo scenario di riferimento. Al contempo, in tutti gli scenari analizzati il Pil procapite cresce, ma rallenta in quelli che puntano a una decarbonizzazione profonda, come il tasso d’incremento del Pil nazionale (da -0,18% a 0,35% l’anno in media, per il periodo 2010-2050).
D’altronde da molti anni si è acceso il dibattito sulla necessità di misurare e osservare il progresso tramite lenti che siano diverse da quelle del mero incremento del Prodotto interno lordo. Bene, è arrivato il momento di passare dal dibattito all’azione. Anche perché quel che invece è certo è che ad oggi l’Italia ancora soddisfa circa l’80% del suo fabbisogno energetico attraverso le importazioni, soprattutto di gas, petrolio e carbone, e la nostra economia impatta in modo eccessivo sul clima. È necessario compiere una scelta, l’ignavia non è contemplata. «Dall’analisi condotta dal team italiano – conclude Borgeshi – emergono chiaramente tutte le idiosincrasie del Paese, fornendo dati e spunti di riflessione sull’esigenza di un diverso sistema di approvvigionamento energetico. I report dei team nazionali costituiscono un’importante occasione di confronto tra le maggiori economie internazionali nella sfida al cambiamento climatico, e forniscono importanti indicazioni scientifiche in vista dei prossimi negoziati della Cop-21 previsti a Parigi nel mese di dicembre».

Fonte: Green Report 

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