La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 settembre 2015

Grande propaganda e miniripresa

di Michele Prospero
Dopo 9 lunghi anni di crisi, è inevitabile che qualche marginale spostamento numerico si verifichi nei fondamentali assetti dell’economia. Che il segno “più” nei consumi, nella crescita significhi che la crisi sia ormai finita è però solo un esercizio di propaganda, che il governo – via tweet – sembra prediligere sempre di più. In Italia c’è un circuito politica-media che rende arduo ogni accostamento alla realtà. I media fanno a gara nello stabilire un nesso causale tra la ripartenza dell’economia e il magico funzionamento della ricetta dell’esecutivo sul mercato del lavoro.
La chiacchiera sommerge il reale e vengono evitati paragoni molto semplici, per esempio con gli indicatori di altri paesi europei (la Spagna viaggia al ritmo del 3 per cento in più, l’Italia del preteso boom renziano cresce in maniera assai inferiore a quella della media dei paesi dell’Unione). Nella piccola ripresa in atto, le scelte del governo non hanno proprio inciso in positivo: non c’è una politica industriale, questo è il punto. Le decontribuzioni, il bonus degli 80 euro, hanno semplicemente tolto introiti pubblici (e, quindi, meno servizi) e non hanno certo prodotto nuova ricchezza.
Non c’è stata cioè una crescita effettiva, con una ripresa della contrattazione per il recupero del reddito perduto dal lavoro. Ma si incontra solo un minor afflusso di risorse nelle casse statali.
Quando un imprenditore ha la possibilità di trattenere 25 mila euro per ciascuna mutazione del rapporto contrattuale siglata dalla sua impresa, è evidente che ha di fronte un’opportunità di fare cassa, che non si lascia certo scappare. Dopo tre anni può peraltro dare il benservito al neo assunto a tutele crescenti, senza trovare alcun ostacolo nella rigidità del vecchio diritto del lavoro.
Oltre al gruzzolo in moneta sonante, l’impresa ha ottenuto con il Jobs Act anche un condono giuridico che azzera automaticamente tutti i soprusi compiuti sotto la falsa copertura di contratti a progetto. Il punto è che l’impresa, con le decontribuzioni, ottiene fondi significativi senza alcun vincolo di destinazione a un loro uso produttivo. Si tratta quindi di soldi che non mirano al reinvestimento e sono perduti per i cittadini, con inevitabili contrazioni per le politiche pubbliche.
La verità è che non potrà esserci una significativa ripresa dei consumi senza la ripresa della contrattazione. Il pubblico impiego oggi ha un salario nominale, non solo reale, inferiore a quello percepito nel 2009. Gran parte delle pensioni sono ai limiti della sopravvivenza. Quale domanda interna potrà risvegliarsi in queste condizioni? Ha la parvenza di una provocazione l’affermazione del presidente del consiglio secondo cui la fiducia, l’ottimismo sono un grande incentivo al consumo. Ma con pensioni e stipendi bloccati la scelta del consumo non è una questione di ottimismo.
Kant distingueva tra talleri reali e talleri immaginati. Il premier Renzi pensa che esistano denari immaginari, mentre i cittadini hanno solo pochi soldi reali. Invece di varare politiche economiche serie, il governo gioca con misure demagogiche, senza alcuna portata innovativa (taglio delle tasse) o con politiche di riforme istituzionali che forzano gli equilibri costituzionali. Questo accanimento manu militari per la mutazione dei Consigli provinciali e del Senato pare un non senso in tempi di crisi.
Ma il ministro Boschi spiega il perché di questi due anni di sequestro del Parlamento per forzare il cammino di riforme scriteriate. Nell’intervista al Corriere afferma che “l’Europa ci riconosce spazi finanziari di flessibilità se in cambio facciamo le riforme. La sola clausola delle riforme vale qualcosa come 8 miliardi da spendere”. Ecco, c’è lo scambio esplicito tra la manomissione della Costituzione, la limitazione della democrazia e la modica flessibilità nei conti per varare misure simboliche e così drogare nell’immediato il mercato del consenso. I segni di ripresa che in Europa sembrano profilarsi, trovano un ostacolo proprio nella condotta opportunistica di governi come quello guidato da Renzi.
Senza un’idea guida, senza politiche efficaci il governo ricorre a giochi di prestigio, a esercizi illusionistici per cercare di vincere le elezioni. Per questo confida nel “riottismo” interiore del giornalismo italiano. Qualche settimana fa, Gianni Riotta invitava le élite del potere economico e finanziario ad applaudire il presidente del Consiglio, per raccontare ai nipoti di essere capitati a Cernobbio, in un giorno radioso, al cospetto dell’uomo del destino. Come Hegel fu folgorato dalla visione di Napoleone a cavallo, così Riotta è rimasto estasiato dall’immagine del rottamatore, che in posa imperiale scende dall’elicottero. Scene da repubbliche delle banane.

Fonte: rassegna.it

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