La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 26 settembre 2015

La strigliata del papa ai potenti della terra

di Luca Celada
È stata a dir poco una intensa gior­nata poli­tica e diplo­ma­tica quella di ieri fra Washing­ton e New York dove il papa ha par­lato alla seduta ple­na­ria delle Nazioni unite men­tre Obama ospi­tava alla casa bianca il pre­si­dente cinese Xi Jin­ping. Per i noti­sti ame­ri­cani entrambi i fatti hanno rischiato di essere momen­ta­nea­mente oscu­rati dalle cla­mo­rose dimis­sioni annun­ciate a sor­presa da John Boeh­ner lo spea­ker repub­bli­cano che ha affer­mato che lascerà la camera a fine otto­bre. Una doc­cia fredda per la lea­der­ship repub­bli­cana che molti com­men­ta­tori hanno cre­duto di attri­buire ad una «crisi di coscienza» in qual­che modo pre­ci­pi­tata dalla pre­senza di papa Fran­sceso. Boeh­ner, cat­to­lico devoto, era stato seduto sul suo scanno durante il discorso di Fran­ce­sco al con­gresso ed era parso visi­bil­mente com­mosso men­tre il pon­te­fice si appel­lava all’unità e la coo­pe­ra­zione fra le fazioni ideologiche.
Al di là di ipo­te­ti­che crisi misti­che, Boeh­ner in quanto lea­der della mino­ranza prima e, dal 2012, della mag­gio­ranza par­la­men­tare repub­bli­cana ha pre­sie­duto uno dei con­gressi più aspra­mente divisi della sto­ria. Non solo fra demo­cra­tici oba­miani e i repub­bli­cani fau­tori di un ostru­zio­ni­smo a tutto campo, ma anche di uno stesso par­tito repub­bli­cano spac­cato da una fronda oltran­zi­sta che reclama la rot­tura totale. Per que­sto il fianco destro del par­tito ha con­te­stato e sabo­tato ogni pur raro ten­ta­tivo di media­zione imba­stito da Boeh­ner e irri­me­dia­bil­mente com­pro­messo l’autorità della sua lea­der­ship. L’annuncio delle dimis­sioni a pochi giorni da un enne­simo scon­tro sul bilan­cio che la pros­sima set­ti­mana potrebbe por­tare a un nuovo enne­simo shut­down del governo fede­rale, segnala una resa dei mode­rati all’inizio di una sta­gione elet­to­rale che pro­mette di pola­riz­zare ulte­rior­mente il paese.
Men­tre Washing­ton era scossa dalle noti­zie poli­ti­che, al palazzo di vetro il papa si rivol­geva all’assemblea ple­na­ria delle Nazioni unite che nel set­tan­te­simo anni­ver­sa­rio del con­sesso delle nazioni ha aperto ieri i lavori di una seduta dedi­cata alla for­mu­la­zione di una “agenda di soste­ni­bi­lità per il 2030”. Ai dele­gati Fran­ce­sco si è rivolto con un discorso in spa­gnolo più inci­sivo ancora di quello fatto a Washing­ton, in cui ha riba­dito un rin­no­vato ed effet­tivo impe­gno diplo­ma­tico della santa Sede negli affari tem­po­rali del mondo che rap­pre­senta un nuovo corso e una sostan­ziale novità poli­tica cer­ta­mente rispetto alla ammi­ni­stra­zione Ratzin­ger. Il discorso di Fran­ce­sco è stato il quinto di un pon­te­fice all’assemblea dopo quelli di Bene­detto XVI, Paolo VI e in due occa­sioni di papa Woj­tyla. Gio­vanni Paolo era fau­tore di un simile impe­gno poli­tico del Vati­cano ma che nella sostanza non poteva essere di indi­rizzo più diverso dall’ agenda deli­neata ieri da Fran­ce­sco.
Il papa ha comin­ciato col riba­dire l’imprescindibilità dell’Onu come sede per arti­co­lare il diritto inter­na­zio­nale, l’unico legit­timo ed essen­ziale stru­mento di media­zione pla­ne­ta­ria, solo le Nazioni unite — ha detto -, sono in grado di «dis­si­pare le tene­bre del disor­dine cau­sato dalle smi­su­rate ambi­zioni e le forme di egoi­smo col­let­tivo». Fran­ce­sco ha poi enu­me­rato con tutta l’urgenza del momento le sue nor­me­po­li­ti­che e morali per la soprav­vi­venza dell’umanità. Nel deca­logo del papa, ugua­glianza e libertà, lotta alla povertà e alla guerra e un impre­scin­di­bile bari­cen­tro etico e spi­ri­tuale per la poli­tica la cui respon­sa­bi­lità cen­trale è la tutela dei deboli del mondo. Una visione in cui que­stioni eti­che, poli­ti­che ed eco­no­mi­che sono ine­stri­ca­bil­mente con­nesse ed esi­gono inter­venti con­creti che vadano al di là di ste­rili dichia­ra­zioni o «la pra­tica buro­cra­tica di sti­lare lun­ghi elen­chi di buoni propositi».
Ai dele­gati di una orga­niz­za­zione noto­ria­mente para­liz­zata da buro­cra­zia e dalle prio­rità dei sin­goli stati mem­bri, Fran­ce­sco ha ricor­dato che poli­tica ed eco­no­mia «devono for­za­ta­mente essere gui­date da perenni con­cetti di giu­sti­zia» e della con­sa­pe­vo­lezza che «al di là dei pro­getti e dei pro­grammi stiamo sem­pre par­lando di veri uomini e donne che vivono, lot­tano e sof­frono spesso costretti in una povertà che li priva di ogni diritto». Per com­bat­tere povertà e guerra, altro fon­da­men­tale oltrag­gio alla dignità dell’uomo, Fran­ce­sco ha toc­cato i temi fon­da­men­tali del suo pen­siero: lotta all’esclusione in tutte le sue forme che signi­fica ad esem­pio com­bat­tere l’oppressione dei debiti nazio­nali «che lungi dal pro­muo­vere lo svi­luppo creano mec­ca­ni­smi che gene­rano povertà, esclu­sione e dipen­denza» dei popoli. Ed ha ancora una volta messo al cen­tro del suo discorso il clima, dato che l’inquinamento è forma anch’esso di esclu­sione in quanto impatta spro­por­zio­na­ta­mente pro­prio i deboli del mondo.
«La con­se­guente distru­zione della bio­di­ver­sità è una minac­cia alla stessa soprav­vi­venza della spe­cie umana e la con­se­guenza per­ni­ciosa di una eco­no­mia glo­bale irre­spon­sa­bile gui­data solo da lucro e ambi­zione». È stato deluso insomma chi pen­sasse che Fran­ce­sco avrebbe mode­rato i ter­mini della sua agenda “radi­cale”. All’Onu il papa ha for­mu­lato un appello ine­qui­vo­ca­bile all’azione con­creta che ha com­preso l’elogio dell’accordo nucleare ira­niano e che è apparso in mar­cato con­tra­sto con l’incontro fra Obama e Xi svol­tosi quasi con­tem­po­ra­nea­mente alla Casa bianca e in parte “oscu­rato” dagli eventi che si sono sovrap­po­sti. Nella con­fe­renza stampa di Washing­ton i due lea­der hanno par­lato di con­flitto ciber­ne­tico (gli Ame­ri­cani accu­sano da tempo le azioni di hac­ker spon­so­riz­zati dal governo di Pechino con­tro indu­stria ed enti pub­blici Usa). Hanno rispo­sto a domande sull’espansionismo di Pechino nel Mar Cinese meri­dio­nale, di clima (unico ter­reno di par­ziale accordo) e di economia.
Ma i pre­si­denti hanno in gran parte par­lato in paral­lelo senza dar segni di effet­tiva intesa o dia­logo lasciando la netta sen­sa­zione che i con­ve­ne­voli e il gala­teo fosse coreo­gra­fato in gran parte per un con­sumo interno cinese più che per sostan­ziali pro­gressi nei rap­port bila­te­rali. Un con­trap­punto che non ha potuto che sot­to­li­neare il con­tra­sto della poli­tica reale con gli appelli del papa che nel frat­tempo ha pro­se­guito il suo terzo giorno ame­ri­cano con una ceri­mo­nia al memo­riale dell’ 11 set­tem­bre a ground zero, una pro­ces­sione in auto a Cen­tral Park, la visita ad una scuola cat­to­lica di East Har­lem e la messa a Madi­son Square Garden.

Fonte: il manifesto 

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