La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 settembre 2015

Li ha disarmati e toccati nell'identità smarrita

di Guido Moltedo
Dia­logo, soli­da­rietà, sus­si­dia­rietà, bene comune, inclu­sione, acco­glienza. La cura del pros­simo. L’attenzione al più debole. Pace. Ambiente. Soste­ni­bi­lità. Sobrietà. Costru­zione di ponti. Lotta alla povertà. Abo­li­zione della pena di morte. Stop alle armi che ali­men­tano le guerre. Le parole del papa. Il lin­guag­gio di Fran­ce­sco. C’era da aspet­tar­selo, un discorso così, di fronte al Con­gresso ame­ri­cano?
Certo, il papa venuto dalla “fine del mondo” ci ha abi­tuato a misu­rarci con parole che la poli­tica non sa più pro­nun­ciare – e molti dei poli­tici che l’ascoltavano ne sono un esem­pio – parole che lui non si stanca di ripe­tere, e di con­net­tere tra loro, quindi non slo­gan, eppure espresse con la sem­pli­cità diretta che disarma e sfida qual­siasi inter­lo­cu­tore, cre­dente e non, una lin­gua resa ancora più forte dai gesti, dai com­por­ta­menti che accom­pa­gnano il suo “gui­dare con l’esempio”. Eppure quelle parole, dette in quel suo inglese ispa­nico, gen­tile e lento, ma chiaro e fermo, pro­prio per­ché pro­nun­ciate di fronte a quella pla­tea, ave­vano un rim­bombo potente. Scuo­te­vano. Sono parole desti­nate a lasciare un’orma pro­fonda, anche in virtù della “coda”, dav­vero ecce­zio­nale, del suo saluto dal bal­cone del Con­gresso alla grande folla della spia­nata sotto Capi­tol Hill, con la richie­sta, anche que­sta già sen­tita, ma que­sta volta ancora più sin­cera e toc­cante, di pre­gare per lui.
Inu­tile cer­care di leg­gere con le lenti della poli­tica cor­rente il discorso del papa di fronte ai due rami del Con­gresso. A Washing­ton ci si era eser­ci­tati a elu­cu­brare sui pos­si­bili riflessi poli­tici dell’intervento del papa nel clima di aspra con­trap­po­si­zione della cam­pa­gna pre­si­den­ziale. Si sen­tiva anche discet­tare se il suo pen­siero è di sini­stra o meno: se avrebbe aperto o chiuso a certe istanze, come la libertà di inter­ru­zione della gra­vi­danza o le unioni gay. Indub­bia­mente, su que­sti punti ha deluso certe attese. Ed è anche lecito pen­sare che l’abbia fatto per pla­care la destra. Ma a che serve tirarlo per la tonaca, da una parte o dall’altra? Fran­ce­sco ha ben chia­rito che, lui, dete­sta il bianco e il nero, teme la pola­riz­za­zione. È un male del nostro tempo, ha detto.
Com’è distante dallo show di Neta­nyahu, l’ultimo capo di stato a inter­ve­nire di fronte alle due camere riu­nite, non ha l’intento con­flit­tuale di Bibi, venuto a Washing­ton per esa­spe­rare con­flitti e divi­sioni, anche tra Casa Bianca e Con­gresso. Fran­ce­sco è l’opposto. Il papa non ha divi­sioni, e certo non intende usare il suo potere morale per divi­dere, ma per unire, non con media­zioni e con reto­rico ecu­me­ni­smo, ma par­lando alle coscienze. Può farlo per­ché è cre­di­bile, per­ché si mette lui stesso con­ti­nua­mente in gioco. Parla alle coscienze non mora­li­sti­ca­mente ma indi­vi­duando i punti sen­si­bili di chi ascolta, e toc­can­doli con acume, anche poli­tico.
Dove è andato a toc­care, que­sta volta? All’essenza stessa dell’essere ame­ri­cani, il loro essere un popolo di immi­grati, come lo è il papa, che ripete quanto ha detto nel prato della Casa Bianca a Obama, anch’egli figlio di un immi­grato, un con­no­tato ancor più impor­tante della sua pelle. Ed è que­sto il filo con­dut­tore di un discorso che si è mosso, di fronte al Con­gresso, secondo la tec­nica della buona comu­ni­ca­zione, che è “moderna” ma anche quella di un bravo prete che sa che la forza del Van­gelo è nelle sue para­bole. È la comu­ni­ca­zione che pro­cede lungo un per­corso scan­dito da vicende esem­plari. Papa Ber­go­glio cita quat­tro figure emble­ma­ti­che della sto­ria sta­tu­ni­tense, ognuna rap­pre­sen­tando in sé e messe insieme l’identità più ele­vata dell’America. «Una nazione può essere con­si­de­rata grande quando difende la libertà», come ha fatto il pre­si­dente Abra­ham Lin­coln; «quando pro­muove una cul­tura che con­senta alla gente di “sognare” pieni diritti per tutti i pro­pri fra­telli e sorelle, come Mar­tin Luther King ha cer­cato di fare»; quando «lotta per la giu­sti­zia e la causa degli oppressi, come Doro­thy Day ha fatto con il suo instan­ca­bile lavoro», frutto di una fede che «diventa dia­logo e semina pace nello stile con­tem­pla­tivo» di padre Tho­mas Mer­ton. Il sot­to­te­sto è evi­dente. L’America ha smar­rito que­sta sua iden­tità, eppure ha in sé la forza di recu­pe­rarla.
Quanto avviene in que­sti giorni in Ame­rica, il cla­more e l’interesse che suscita il papa, si deve alla sua forte e ori­gi­nale per­so­na­lità, al suo mes­sag­gio. Ma non va dimen­ti­cato il piano dei nuovi rap­porti di forza, den­tro la società ame­ri­cana. Non va sot­to­va­lu­tato il con­te­sto. Il papa ha par­lato di fronte a una pla­tea costi­tuita per un terzo da depu­tati e sena­tori cat­to­lici. Lo spea­ker della camera dei rap­pre­sen­tanti, il repub­bli­cano John Boh­ner, è cat­to­lico, come la lea­der dell’opposizione demo­cra­tica, Nancy Pelosi. Cat­to­lico è il vice-presidente Joe Biden, che pre­siede il senato. Cat­to­lico John Kerry, il segre­ta­rio di stato, numero tre dell’amministrazione, così come sei dei nove giu­dici della corte suprema. Insomma, il papa delle Ame­ri­che, come l’ha defi­nito Barack Obama, par­lava di fronte a un par­la­mento, nella sua com­po­si­zione demo­gra­fica e reli­giosa, sem­pli­ce­mente inim­ma­gi­na­bile fino a pochi anni fa, per non dire rispetto ai tempi del primo pre­si­dente cat­to­lico, John Ken­nedy, che dovette chia­rire, per essere eletto, di non essere «un can­di­dato cat­to­lico, ma un can­di­dato del Par­tito demo­cra­tico che è anche cat­to­lico».
Erano ancora tempi, e par­liamo di cinquant’anni fa, di un’America già entrata nell’era moderna, Ken­nedy lamen­tava che i cat­to­lici ame­ri­cani erano cit­ta­dini di serie b, in un paese bianco e pro­te­stante. Non oggi, che sono set­tanta milioni, come ha sot­to­li­neato Barack Obama, acco­gliendo il papa argen­tino. Il vicino Mes­sico ne ha 75 milioni. È una cre­scita quan­ti­ta­tiva che cam­bia la “chi­mica” del gigante nor­da­me­ri­cano. Ne ride­fi­ni­sce la fisio­no­mia E il ruolo. Come non vedere il disgelo con Cuba in que­sto con­te­sto? E con il disgelo con Cuba si tra­sforma la rela­zione con tutta l’America latina, in un pro­gres­sivo pro­cesso di uni­fi­ca­zione di due parti dello stesso con­ti­nente, le Ame­ri­che.
È un pro­cesso tutt’altro che lineare, suscet­ti­bile di ritorni indie­tro (basti pen­sare alle con­se­guenze dell’elezione alla Casa Bianca di un raz­zi­sta come Donald Trump). Ma intanto è bene tenere ben conto che la demo­gra­fia sem­pre più ride­fi­ni­sce la poli­tica nazio­nale ame­ri­cana ma anche la sua geopolitica.

Approfondimento: Il Papa al Congresso: basta vendere armi di Luca Celada

Alle camere riu­nite del Con­gresso, in pre­ce­denza ave­vano par­lato Chur­chill e De Gaulle, Boris Yel­tsin e qual­che mese fa, con note­vole stra­scico pole­mico, anche Ben­ja­min Nata­nyahu. Non era mai acca­duto però che lo facesse un lea­der reli­gioso come ha fatto ieri il papa nel secondo giorno del suo viag­gio ame­ri­cano. Pre­sen­tato come «il Papa, della Santa Sede» dallo spea­ker John Boeh­ner, è stato accolto con un calo­roso app­plauso dai 435 depu­tati e sena­tori del par­la­mento di Washing­ton a cui ha rivolto un discorso in inglese durato poco meno di un’ora.
Il papa ha rin­gra­ziato per l’invito a par­lare ai rap­pre­sen­tanti «nella terra dei liberi e la patria dei valo­rosi», cita­zione di una delle frasi più reto­ri­che dell’inno nazio­nale che in bocca al gesuita suda­me­ri­cano come Ber­go­glio ha acqui­sito un lieve sospetto di iro­nia, pur pro­du­cendo il primo di diversi applausi che lo hanno inter­rotto. Fran­ce­sco che si è dichia­rato «figlio dello stesso con­ti­nente» ha ripe­tu­ta­mente elo­giato il paese ospite senza rinun­ciare ad allu­dere indi­ret­ta­mente alle sue man­canze. Ha più volte invo­cato ad esem­pio la tra­di­zione demo­cra­tica e civile degli Usa cri­ti­cando allo stesso tempo il com­mer­cio di armi, xeno­fo­bia, disu­gua­glianza e mani­chei­smo che certo riguar­dano non poco gli Stati uniti come l’occidente tutto.
In alcuni pas­saggi il mes­sag­gio di Ber­go­glio è sem­brato indi­riz­zato più diret­ta­mente ancora all’Europa dell’emergenza rifu­giati che ha defi­nito «la più grave crisi dai temi della seconda guerra mon­diale». Par­lando delle mol­ti­tu­dini che si stanno river­sando a nord alla ricerca di vite migliori e mag­giori oppor­tu­nità, il papa ha detto che «non dob­biamo lasciarci spa­ven­tare dal loro numero, ma piut­to­sto vederle come per­sone, guar­dando i loro volti e ascol­tando le loro sto­rie» e «rispon­dere in un modo che sia sem­pre umano, giu­sto e fra­terno». Parole inci­sive nel paese in cui l’attuale front run­ner repub­bli­cano, Donald Trump, costrui­sce con­sensi con­ser­va­tori sulla pro­messa di edi­fi­care un muro sul con­fine mes­si­cano, ma forse rivolte ancor più diret­ta­mente all’Europa dei rigur­giti nazionalistici.
Ad ascol­tare in aula ieri erano pre­senti nume­rosi cat­to­lici (lo sono il 30% circa dei depu­tati) fra cui alcuni pre­ten­denti alla pros­sima pre­si­denza come i repub­bli­cani Chris Chri­stie e Marco Rubio. Il segre­ta­rio di stato e “part­ner diplo­ma­tico” del Vati­cano sul disgelo cubano, John Kerry, cui Fran­ce­sco ha tenuto a strin­gere la mano prima di salire sul podio affian­cato da Boeh­ner e dal vice­pre­si­dente Biden, entrambi cat­to­lici pra­ti­canti. Ai legi­sla­tori di un organo pro­fon­da­mente diviso lungo linee ideo­lo­gi­che il papa ha par­lato dei peri­coli della pola­riz­za­zione e del ridu­zio­ni­smo che divide il mondo in pre­cise cate­go­rie di bene e male, giu­sti e pec­ca­tori aggiun­gendo che la com­ples­sità del mondo con­tem­po­ra­neo con le sue «ferite aperte» esige distin­zioni più sot­tili della sem­plice demo­niz­za­zione dei nemici. «Imi­tare l’odio e la vio­lenza dei tiranni e degli assas­sini è il modo più sicuro per pren­dere il loro posto», ha aggiunto. «È (un mec­ca­ni­smo) che il popolo ame­ri­cano rifiuta».
È stato uno dei pas­saggi più simili dav­vero a una “pre­dica” fatta ai pro­pri ospiti, anzi visti i recenti tra­scorsi di inter­venti ame­ri­cani e di con­flitti utili solo a tra­ghet­tare intere regioni del mondo nel caos, è stato il momento in cui Fran­ce­sco si è avvi­ci­nato al discorso sha­ke­spe­riano di Marco Anto­nio nel Giu­lio Cesare: l’elogio reto­rico di Bruto per evi­den­ziarne i difetti. Non solo, infatti, gli Stati uniti – anche quelli del pro­gres­si­sta Barack Obama — danno scarse indi­ca­zioni di riflet­tere seria­mente sull’opportunità del pro­prio ege­mo­ni­smo geo­po­li­tico, ma il mani­chei­smo è un car­dine fon­da­men­tale della poli­tica e del carat­tere nazio­nale intriso di patriot­ti­smo ed eccezionalismo.
Un con­te­sto cioè in cui le affer­ma­zioni, pur mode­rate rispetto alla recente media di Fran­ce­sco, sono risal­tate mag­gior­mente. Davanti a un pub­blico che com­pren­deva nume­rosi pala­dini repub­bli­cani dello scon­tro di civiltà, il papa cat­to­lico ha rico­no­sciuto le atro­cità odierne com­messe nel nome di dio, aggiun­gendo che «nes­suna reli­gione è immune da forme di estre­mi­smo» e lan­ciando un monito con­tro ogni fon­da­men­ta­li­smo e ogni «vio­lenza per­pe­trata nel nome di una reli­gione, un’ideologia o un sistema eco­no­mico». Il papa non ha nomi­nato il capi­ta­li­smo, ma nella patria di Wall street sono ben note le sue vedute sul libe­ri­smo estremo e a Washing­ton le sue allu­sioni hanno avuto un peso particolare.
Non tutto nel discorso è stato obli­quo rife­ri­mento. Nell’ambito della tutela della vita in tutte le sue forme, il papa ha scelto di esporre senza ambi­guità la sua cri­tica alla pena di morte nel suo ultimo bastione occi­den­tale. Sull’immoralità del com­mer­cio di armi il papa è tor­nato ad inchio­dare l’ipocrisia dell’occidente: «Per­ché armi mor­tali sono ven­dute a coloro che pia­ni­fi­cano di inflig­gere indi­ci­bili sof­fe­renze a indi­vi­dui e societa?» Ha doman­dato. «Pur­troppo, la rispo­sta, come tutti sap­piamo, è sem­pli­ce­mente per denaro: denaro che è̀ intriso di sangue».
Un filo con­dut­tore del discorso è stata la giu­sti­zia sociale come valore asso­luto della poli­tica. «I nostri sforzi devono essere volti a ripor­tare la spe­ranza, ripa­rare le ingiu­sti­zie, man­te­nere gli impe­gni», ha detto il papa, «nello spi­rito di soli­da­rietà e della fra­tel­lanza». «Qual­siasi atti­vità poli­tica deve ser­vire e pro­muo­vere il bene della per­sona umana». «Ne con­se­gue che non può essere sot­to­messa al ser­vi­zio dell’economia e della finanza», ma deve invece espri­mere il «nostro insop­pri­mi­bile biso­gno di vivere insieme nell’unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comu­nità che sacri­fi­chi gli inte­ressi par­ti­co­lari per poter con­di­vi­dere, nella giu­sti­zia e nella pace, i suoi bene­fici». Dette in un aula dove anche la tutela pub­blica della salute viene rego­lar­mente denun­ciata come ana­tema socia­li­sta, le parole hanno ancora una volta assunto un peso par­ti­co­lare. Se fos­sero rima­sti dubbi su quale volto del cat­to­li­ce­simo voglia sdo­ga­nare nel suo viag­gio ame­ri­cano, Fran­ce­sco ieri ha scelto di ono­rare la memo­ria di quat­tro ame­ri­cani: Lin­coln, eman­ci­pa­tore degli schiavi, Mar­tin Luther King com­bat­tente per l’uguaglianza, l’intellettuale cister­cense Tho­mas Mer­ton e Doro­thy Day fon­da­trice del movi­mento Catho­lic Wor­ker, mili­tante paci­fi­sta, fem­mi­ni­sta e ope­rai­sta pro­ta­go­ni­sta di lotte sociali dalle suf­fra­gette all’opposizione alla guerra del Vietnam.
Dopo il discorso c’è stata la visita ad una mensa della Cari­tas di Washing­ton e poi il papa è volato a New York, per i vespri alla cat­te­drale di St. Patrick seguito dal riposo in vista di un altro discorso, quello di oggi pome­rig­gio all’assemblea dell’Onu.

Fonte: il manifesto 

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