La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 26 settembre 2015

Diritto all’insolvenza

di Matteo Botolon
Il dibat­tito sull’euro e sulle sue rica­dute poli­ti­che è diven­tato molto caldo nei movi­menti e nel radi­ca­li­smo di ogni matrice.
Fra il 2011–2012 era molto più vivo il tema del debito: in que­gli anni si mos­sero le cam­pa­gne Rivolta il Debito di Sini­stra Cri­tica, e Smonta il Debito del Cen­tro Nuovo Modello di svi­luppo con altre realtà. A livello più poli­tico si formò invece un Comi­tato No Debito nazionale.
Tutte que­ste realtà si erano mosse nel con­te­sto della crisi del debito sovrano che sostan­zial­mente ini­ziò fra il 2010–2011. Il punto di pre­ci­pi­ta­zione può essere con­si­de­rato l’affermazione del nuovo pre­mir Papan­dreu a fine 2009 che i conti greci non per­met­te­vano di fare fronte ai pro­pri debiti. Da allora la situa­zione è costan­te­mente peggiorata.
In Ita­lia la que­stione venne mossa dall’arrivo al potere di Mario Monti e dal rin­no­va­mento tec­no­cra­tico che pro­met­teva di abbi­nare rigore e equità: restrin­gere la spesa e aumen­tare la com­pe­ti­ti­vità per pagare i debiti dello Stato con un certo grado di giu­sti­zia sociale. Di quest’ultima se n’è vista poca, per la verità. Comun­que fra il 2013–14 il tema della moneta ha acqui­sito molto suc­cesso, men­tre il debito è rima­sto con­fi­nato alle noti­zie occasionali.
Nono­stante il crollo dell’attenzione in merito, i pro­blemi non sono stati risolti né messi sotto con­trollo. Il recente rap­porto della Com­mis­sione euro­pea Euro­pean Eco­no­mic Fore­cast indica come il livello medio di inde­bi­ta­mento degli stati dell’eurozona sia pas­sato dal 71,3% sul pil fra 2004-10 all’86,5% nel 2011, 91,1% nel 2012, 93,2% nel 2013, 94,2 nel 2014, 94% nel 2015 (ma quest’ultima è una pre­vi­sione; tab p. 43). L’aumento è stato par­ti­co­lar­mente spic­cato dove è stata appli­cata l’austerità, che per molte ana­lisi non serve a affron­tare il debito pub­blico, quanto a tra­sfe­rirlo sulle spalle di cit­ta­dini e lavo­ra­tori men­tre si garan­ti­sce la sol­vi­bi­lità ai cre­di­tori, assai spesso ban­che o entità spe­cu­la­tive come i temi­bili fondi-avvoltoio: la punta di dia­mante della finanza più nociva e speculativa.
L’opposizione alla ristrut­tu­ra­zione dei debiti sovrani è stata for­tis­sima, per­ché implica una ridu­zione della cifra che dovrebbe tor­nare ai cre­di­tori; l’intero mec­ca­ni­smo dell’imposizione dell’austerità (con­trollo della spesa e della fisca­lità dello Stato come con­di­zione di ulte­riori pre­stiti) è sbi­lan­ciato verso di essi, arri­vando a sot­to­porre le linee di poli­tica eco­no­mica di Stati sovrani alle loro esigenze.
Da un anno in sede Onu si è ini­ziato un per­corso per sta­bi­lire una cor­nice giu­ri­dica per la ristrut­tu­ra­zione del debito in moda­lità con­formi ai diritti umani; il 10 set­tem­bre 2015 è stata appro­vata una riso­lu­zione che accet­tando le con­clu­sioni di un gruppo di lavoro e soste­nuta da uno stu­dio dell’Unctad (Agen­zia Onu per il Com­mer­cio e lo Svi­luppo) cerca di sta­bi­lire cri­teri diret­tivi sta­bili per un bilan­cia­mento di tutti gli inte­ressi in campo; i prin­cipi base sono: sovra­nità eco­no­mica degli Stati anche per la ristrut­tu­ra­zione; dia­logo costrut­tivo coi cre­di­tori; tra­spa­renza; impar­zia­lità (no a con­flitti d’interesse); equo trat­ta­mento dei cre­di­tori; no alle giu­ri­sdi­zioni extra­na­zio­nali; con­for­mità alla legge; soste­ni­bi­lità, regola maggioritaria.
Non è tutto quello che vor­reb­bero i movi­menti con­tro il debito ingiu­sto e odioso, per esem­pio non viene nomi­nata l’audit (inda­gine cono­sci­tiva) per vagliare la legit­ti­mità degli impe­gni assunti; ma sicu­ra­mente una appli­ca­zione decisa e siste­ma­tica di tale base giu­ri­dica la sel­vag­gia spo­lia­zione di tanti paesi che hanno subito il sel­vag­gio attacco di fondi spe­cu­la­tivi e cre­di­tori rapaci al punto di met­tere in que­stione i diritti dei pro­pri cittadini.
La riso­lu­zione è stata appro­vata con 136 voti a favore, men­tre 41 paesi si sono aste­nuti (fra cui l’intera Unione euro­pea) e 6 si sono oppo­sti: Canada, Ger­ma­nia, Israele, Giap­pone, Regno Unito, Stati Uniti.

Fonte: il manifesto 

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