La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 settembre 2015

Scuola, Università e Ricerca un “buon declino”

di Loredana Fraleone
Ciò che si prepara per l’università, in continuità con la “buona scuola”, mostra con maggiore chiarezza dove vada a parare l’intero sistema d’istruzione.
L’uscita dall’amministrazione pubblica, con la trasformazione delle università in fondazioni, consentirebbe non solo l’applicazione del “jobs act” a ricercatori e docenti, ma anche una vera e propria privatizzazione del sistema, che metterebbe quelle “pubbliche” in una competizione fratricida, esaltata dalla totale deregolamentazione.
Il progressivo allontanamento del sistema d’istruzione dal dettato costituzionale, negli ultimi venti anni, subisce oggi un’accelerazione, attraverso la rottura del modello cooperativo nella scuola, la destrutturazione dell’università pubblica, la subordinazione dell’erogazione delle poche risorse a criteri aziendalistici, la vanificazione del diritto allo studio con l’aumento dei costi, i numeri chiusi per l’accesso agli indirizzi ritenuti più appetibili (vedi medicina), la diffusione di modelli culturali che considerano l’istruzione un’attività residuale.
Nell’ultimo rapporto ISTAT, emerge invece che il titolo di studio continua a costituire un vantaggio non indifferente nel mercato del lavoro. Nel 2014 la disoccupazione dei laureati è “solo” dell’8%, cioè circa nove punti in meno di chi ha solo la licenza media.
Anche rispetto al tasso di occupazione, i laureati sono al 75%, i diplomati al 63% e i meno istruiti al 42%, con buona pace di quel senso comune, per cui studiare sarebbe una perdita di tempo.
Il governo Renzi, dal canto suo, intende togliere a molti giovani anche questa possibilità, attraverso una drastica riduzione “dell’offerta formativa” e dell’accesso agli studi superiori.
Un altro tassello al revisionismo della Costituzione repubblicana è in preparazione al senato, con l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
Questo provvedimento, da sempre voluto dalla Confindustria, allineando l’Italia ai paesi anglosassoni, comporterebbe anche l’abolizione dello stato giuridico dei docenti, la ‘liberalizzazione’ delle tasse e un’irreversibile differenziazione tra gli Atenei.
Una divaricazione già consolidata, come dimostrano i dati pubblicati recentemente anche su alcuni giornali, riguarda in particolare le università del sud rispetto a quelle del nord.
Secondo l’Osservatorio europeo sul finanziamento delle università, l’investimento dello Stato in Italia è diminuito del 21% tra il 2008 e il 2014, mentre è notevolmente aumentata la tassazione a carico degli studenti, con la conseguenza di una forte riduzione delle immatricolazioni. Contemporaneamente una serie di provvedimenti ha prodotto anche un calo del numero dei docenti, non in modo omogeneo, ma in misura maggiore dove più pesanti sono stati i tagli sul FFO (Fondo per il Finanziamento Ordinario).
Università come la Sapienza di Roma e la Federico 2° di Napoli hanno perso rispettivamente 84 e 52 milioni di euro, proseguendo verso sud c’è stata la falcidia.
I criteri con cui sono state fatte queste scelte sono stati dettati da misuratori della “qualità” del tutto opinabili, ma ai quali è legato il finanziamento, che una volta ridotto ha di conseguenza inciso sulla possibilità di assumere e quindi di mantenere in vita corsi, immatricolazioni e così via, con una sorta di penalizzazione progressiva dei più deboli. Nel 1996 I finanziamenti nel CentroNord e del Mezzogiorno vedevano una divaricazione di 7 punti, nel 2014 di ben 18, più del doppio. Questo la dice lunga sulla volontà di affrontare la drammatica situazione del Sud, dal punto di vista occupazionale.
C’è da chiedersi se quello che accade in Italia, che non ha un corrispettivo in paesi come la Germania e la Francia sia la rappresentazione di una rimodulazione del mercato del lavoro in Europa o non sia la spia, nei paesi più in difficoltà dal punto di vista economico, di una incapacità del capitalismo, di questa fase, di progettare un futuro espansivo e sostenuto dall’innovazione. In ogni caso, la riduzione dell’accesso allo studio e alla conoscenza in generale non possono che contribuire alla decadenza del nostro paese, per questo la lotta per il diritto allo studio è anche la lotta per il futuro.

Fonte: Rifondazione Comunista 

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