La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 settembre 2015

Oltre il fiscal compact con un vero New deal europeo

di Mario Leone
“Nel 2012 l'Ue aveva l'occasione di realizzare due grandi innovazioni di politica fiscale: da un lato aggiornare la specificazione delle regole nominali (60% debito/Pil e 3% deficit/Pil) prendendo atto che le ipotesi macro-economiche su cui si basavano - fatte all'inizio degli Anni Novanta - non erano più attuali; dall'altro, far evolvere rapidamente l'esperienza del primo fondo Salva-Stati verso un embrione di politica fiscale comune, con emissione di debito comune da destinare non solo alle crisi di liquidità, ma anche alla costruzione di un primo sistema di trasferimenti interni all'Unione”.
I due punti qui evidenziati dal prof. Marattin (1) non nascono a caso e non sono il prodotto di astruse formule fantascientifiche.
L’istituzione di un meccanismo permanente di stabilità (ESM, European Stability Mechanism) dell’area euro, consentito da una apposita modifica all’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), ha costituito uno dei pilastri del nuovo sistema di governance economica europea, di fianco e poi in sostituzione degli strumenti transitori di stabilizzazione finanziaria (European financial stabilisation mechanism, EFSM, e European financial stability facility, EFSF).
L’articolo 136 del TFUE reca alcune disposizioni riguardanti specificamente gli Stati membri dell’area euro volte a rafforzare il coordinamento delle politiche di bilancio e a elaborare comuni orientamenti di politica economica; questo stabilisce che: “Gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell'ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità” . (2)
Con le decisioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012 è stata approvata una dichiarazione relativa a misure per assicurare la stabilità finanziaria della zona euro, con riferimento sia al debito sovrano che alle banche, nella quale la Banca centrale europea potrà fungere da agente per conto dei due fondi EFSF e MES per condurre operazioni di mercato riconducibili agli obiettivi di stabilizzazione sopra indicati e tra questi per l'acquisto dei bond sul mercato secondario.
Il “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria” (cd. Fiscal Compact), firmato a margine del Consiglio europeo dell’1-2 marzo 2012 dopo essere stato concordato nella riunione straordinaria del Consiglio europeo del 30 gennaio, ha impegnato, in particolare, con l’articolo 9, le parti contraenti, sulla base delle norme sul coordinamento delle politiche economiche contenute nel Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), ad operare congiuntamente per una politica economica che promuova il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria e la crescita attraverso una convergenza e una competitività rafforzate.
A tale scopo, esse avrebbero dovuto assumere tutte le azioni necessarie per perseguire gli obiettivi di promozione della competitività e dell’occupazione, contribuendo inoltre alla sostenibilità delle finanze pubbliche e al rafforzamento della stabilità finanziaria. Nell’ultima versione predisposta dal Gruppo di lavoro, è stato soppresso il riferimento esplicito al Patto “euro plus” (3), che era presente sia nella prima bozza sia nella penultima del 10 gennaio 2012, benché siano richiamati i suoi obiettivi principali e che, con propri emendamenti, la delegazione del PE aveva proposto di precisare che le misure dei singoli Stati venissero assunte sulla base delle decisioni prese in conformità della legislazione UE, impegnava le parti contraenti a dare seguito alle proposte della Commissione per una governance economica e finanziaria rafforzata, ed in particolare quelle relative ai Project Bonds e all’imposta sulle transazioni finanziarie.
“Con il fiscal compact fu scelta invece una strada diversa” rileva Marattin: “sullo stock fu introdotta la cosiddetta regola del debito per determinare la velocità annua di convergenza all'immutato target del 6o%, e al vincolo di flusso nominale venne aggiunto un vincolo strutturale, prevedendo che il deficit aggiustato per il ciclo raggiungesse un determinato valore (obiettivo di medio termine) con una determinata velocità annuale (aggiustamento strutturale). Il Fiscal Compact è sempre stato criticato, ma per le ragioni sbagliate. Esso infatti non comporta alcun pareggio di bilancio nominale, che impedirebbe ogni stabilizzazione ciclica”. (4)
Ma il problema sostanziale sta nell’assenza di una politica fiscale comune e non solo nei criteri di calcolo che, potenziali o effettivi, che dir si voglia, non superano gli ostacoli lanciando la soluzione migliore.
Ciò è stato messo in evidenza correttamente (e direi continuamente) innanzitutto dai federalisti europei (insieme ad altre organizzazioni) e argomentato con puntualità, non da ultimo da Alberto Majocchi. (5)
Un “new deal” per l’Europa non è una mera elaborazione teorica. “New deal for Europe” (6) è una campagna che propone una soluzione: reperimento di risorse necessarie al finanziamento di un piano attraverso una tassa sulle transazioni finanziarie e da una carbon tax (rispettando un meccanismo simile a quello che regola l’assegnazione di una parte delle risorse provenienti dall’IVA al bilancio europeo) e dall’emissione di un prestito europeo, attraverso gli euro-project bonds, una garanzia di investimenti di 300/500 miliardi, da erogare nell’arco di tre/cinque anni. Durante questi ultimi mesi è stato avanzato un “Piano”(7), presentato il 18 dicembre 2014 al Consiglio europeo dalla Commissione europea, presieduta da Juncker, per lo sviluppo e per il rilancio degli investimenti in Europa nel triennio 2015-2017, con la creazione di un Fondo europeo per gli investimenti strategici (“Fondo fiduciario dedicato”, Efsi) nel quadro della struttura organizzativa della Banca europea degli investimenti (BEI), finanziato inizialmente con 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell'Unione europea (una parte derivante dal programma “Horizon 2020” (8) ed una parte dallo strumento finanziario “Connecting Europe Facility”) (9) e con 5 miliardi di finanziamenti della BEI, e che dovrebbe generare 63 miliardi di finanziamenti della BEI i quali, a loro volta, dovrebbero produrre 315 miliardi di investimenti privati.
E’ chiaro che il bilancio dell’Unione non possa essere sostenuto, come è nelle sole intenzioni della Commissione europea, dall’ammontare, preventivo, pari a 315 miliardi di euro. E’ bene ricordare che attualmente il bilancio dell'UE rappresenta circa l’1% del prodotto nazionale lordo (PNL) dell’UE, mentre i bilanci nazionali degli Stati membri ammontano approssimativamente al 49% del rispettivo PNL. Il bilancio dell’UE è in prevalenza un bilancio di investimenti. Raccoglie le risorse degli Stati membri e genera economie di scala. Finanzia azioni che gli Stati membri possono finanziare più efficacemente insieme, ad esempio in settori come energia, trasporti, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, cambiamenti climatici e ricerca. Il bilancio dell’UE finanzia progetti di investimento che altrimenti non vedrebbero la luce. In alcuni paesi costituisce praticamente l’unica fonte per gli investimenti in infrastrutture. Il bilancio dell’UE può anche essere utilizzato per garantire prestiti a Stati membri che incontrano difficoltà economiche. L’effetto leva è spesso forte: un euro garantito dal bilancio dell’UE può rappresentare fino a 12 euro raccolti da una piccola o media impresa (PMI).
L'Unione Europea può superare le politiche di rigore e uscire dalla crisi solo con un vero New deal europeo che promuova uno sviluppo durevole e sostenibile e che crei nuova e buona occupazione in particolari per i giovani. A tal fine sono necessari maggiori investimenti: il 2016, anno in cui è previsto il riesame del bilancio europeo, sarà una tappa importante per reperire nuove risorse per alimentare il Piano Juncker.

Approfondimenti

1) Marattin Luigi, “Fiscal compact da ripensare”, il Sole 24 Ore, martedì 15 settembre 2015, p. 26.

2) Ciò ha permesso, inizialmente, di mobilizzare risorse di ammontare complessivo massimo pari a 500 miliardi di euro, consistente in un fondo di stabilizzazione (European financial stabilisation mechanism, EFSM) – con una dotazione massima di 60 miliardi di euro – è disciplinato dal Regolamento UE 407/2010 ed è gestito dalla Commissione europea e in una Società veicolo speciale(EFSF), garantita dagli Stati dell’area euro fino a 780 miliardi sulla base delle quote nel capitale della BCE (corretta in base ad un’apposita chiave di conversione).

3) Il Patto euro plus è stato approvato dal Capi di Stato o di governo della zona euro nella riunione dell’11 marzo 2011 e avallato dal Consiglio europeo del 24-25 marzo facendo seguito ad una iniziativa franco-tedesca (c.d. Patto per la convergenza e la competitività); hanno aderito al Patto – che resta aperto all’adesione di altri Stati membri – anche Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania.

4) “Il vero motivo per cui il nuovo impianto dei vincoli comunitari può essere credibilmente soggetto a discussione è che esso in ultima analisi è interamente fondato sulla stima del Pil potenziale, come noto una variabile non osservabile né ex-ante né ex-post. Mentre dal punto di vista teorico l'intero impianto è ineccepibile perché finalmente forzerebbe gli stati a perseguire politiche fiscali propriamente controcicliche, dal punto di vista pratico questi primi anni di attuazione stanno facendo emergere qualche seria preoccupazione in merito alla loro efficienza”.

5) Si veda “Un piano per l’Europa. Sviluppo sostenibile e occupazione”, il Mulino, 2015. Ha osservato Majocchi come con l’approvazione del fiscal compact l’area euro abbia fatto un scelta fortemente innovativa rispetto alle esperienze del passato: la crescita non si fa con la creazione di nuovo debito, l’emissione di titoli deve essere unicamente destinata al finanziamento di investimenti in grado di garantire con il reddito da essi generato il servizio del debito. Per avviare una politica capace di garantire uno sviluppo sostenibile e un aumento della produttività occorre naturalmente reperire nuove risorse da destinare al finanziamento di un fondo, con una imposta sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe essere per sua natura destinato a finanziare una spesa europea in quanto il mercato finanziario è ormai unificato sulla base di regole comuni. Sulla base di una stima dei servizi della Commissione si può prevedere che il gettito della Financial Transaction Tax (FTT) - se applicata soltanto negli 11 paesi che hanno al momento aderito alla Cooperazione Rafforzata proposta dalla Commissione il 14 febbraio 2013 per l’introduzione di questa nuova imposta - ammonti a 31 miliardi di euro. Con un Fondo finanziato da queste risorse proprie sarebbe possibile lanciare sul mercato un’emissione di euro-project bonds, con l’appoggio della Banca Europea degli Investimenti per l’analisi e la valutazione dei progetti di investimento, per il reperimento di ulteriori risorse finanziarie nel settore privato e per il finanziamento dei progetti da parte della Banca stessa. In questo modo circa 300-400 miliardi di euro potrebbero essere allocati al Fondo per il finanziamento di un programma pluriennale di investimenti.



8) Horizon 2020 è il Programma del sistema di finanziamento integrato destinato alle attività di ricerca della Commissione europea, compito che spettava al VII Programma Quadro, al Programma Quadro per la Competitività e l'Innovazione (CIP) e all'Istituto Europeo per l'Innovazione e la Tecnologia (EIT). Il Programma è attivo dal 1° gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020, e supporterà l'UE nelle sfide globali fornendo a ricercatori e innovatori gli strumenti necessari alla realizzazione dei propri progetti e delle proprie idee. Il budget stanziato per Horizon 2020 (compreso il programma per la ricerca nucleare Euratom) è di 79,4 miliardi di euro.

9) Il CEF finanzia progetti che permettano di colmare i collegamenti mancanti nel settore dell'energia in Europa, il trasporto e la rete dorsale digitale. Riguarda anche la promozione di una economia più verde in Europa, con trasporti meno inquinanti, connessioni a banda larga ad alta velocità e l'uso delle energie rinnovabili, in linea con la strategia Europa 2020. Il finanziamento delle reti energetiche integrerà ulteriormente il mercato interno dell'energia, ridurrà la dipendenza energetica dell'UE e rafforzerà la sicurezza dell'approvvigionamento. Concentrandosi su una intelligente, sostenibile e pienamente interconnessa rete di trasporti, energia e reti digitali, il CEF contribuirà a completare il mercato unico europeo. Il CEF al meglio potrà mobilitare finanziamenti privati ​​e permettere l’immissione di strumenti finanziari innovativi come le garanzie dei project bond per massimizzare l’effetto leva.

Fonte: Europa in movimento

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