La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 6 settembre 2015

Il punto cieco di Javier Cercas

di Francesca Borrelli
Appro­dare alla scrit­tura di un romanzo con forti com­po­nenti di intrat­te­ni­mento met­tendo in scena per­so­naggi quasi tutti ani­mati da cat­tivi sen­ti­menti è la pro­dezza che Javier Cer­cas si è voluto con­ce­dere, dopo avere pas­sato gli scorsi anni a smen­tire il fon­dato luogo comune per cui i nobili sen­ti­menti mal si con­ci­liano con la qua­lità del romanzo. Tutti i let­tori di Cer­cas ricor­de­ranno che molto del suc­cesso di Sol­dati di Sala­mina era dovuto all’enigma nasco­sto in un beau geste: da una parte un gerarca falan­gi­sta in fuga, dall’altra un gio­vane mili­ziano che lo rin­corre per con­durlo alla fuci­la­zione; ma quando lo rag­giunge, uno sguardo tra i due basta a farlo rece­dere dalla sua mis­sione, così che il gerarca se ne va illeso.
Dopo otto anni, Cer­cas aveva ral­len­tato il ritmo della sua prosa e esa­spe­rato la dila­ta­zione dei det­ta­gli, ma ancora una volta aveva deciso, in Ana­to­mia di un istante, di far ruo­tare tutto il senso del romanzo intorno al nobile gesto di fer­mezza che inchiodò Adolfo Sua­rez al suo scranno, men­tre gli altri par­la­men­tari si but­ta­vano a terra su comando dei mili­tari che, il 23 feb­braio 1981, ave­vano pro­cla­mato il colpo di stato.

Anche tra le pagine dell’ultimo romanzo, per la verità, lo sguardo sal­vi­fico di un poli­ziotto rispar­mia la galera a un improv­vi­sato delin­quente, ma a parte que­sto lampo di magna­ni­mità tutto ciò che si svolge tra le pagine di Le leggi della fron­tiera (Guanda, tra­du­zione di Mar­cella Uberti-Bona, pp. 394 euro 18,00) esi­bi­sce qual­cosa di respin­gente: dalla vigliacca bru­ta­lità degli sco­lari medio­bor­ghesi, che imper­ver­sano sul più debole di loro inflig­gen­do­gli orri­bili ves­sa­zioni, alla man­canza di scru­poli di una banda gio­va­nile dedita al furto e alla rapina, alla squal­lida ini­zia­zione al sesso con­su­mata nell’anticamera di un cesso pub­blico. Il pro­ta­go­ni­sta, più o meno sem­pre nel ruolo della vit­tima, è Igna­cio Cañas detto Gafi­tas, all’epoca dei fatti sedi­cenne non­ché ribelle alle pre­tese di tutela della sua fami­glia medio­bor­ghese, poi avvo­cato, e a trent’anni ancora di distanza voce nar­rante della sta­gione che il libro intende rico­struire: l’estate del 1978, in una Gerona cupa e cle­ri­cale, non ancora eman­ci­pata dalle ombre lasciate in dote da Franco, che era morto appena tre anni prima.
La testi­mo­nianza di Cañas si alterna a quella dell’ex poli­ziotto che al tempo gli rispar­miò la galera, e con­flui­sce nel libro di un oscuro scrit­tore, attratto prin­ci­pal­mente dal pro­getto di ritrarre quel feno­meno sociale che si espri­meva, all’indomani della fine della dit­ta­tura, nel pro­li­fe­rare di bande gio­va­nili, capaci di tenere in scacco le città. La più famosa tra que­ste era la banda di Zarco, vera star del romanzo, anche lui sedi­cenne all’epoca dei fatti, sfron­tato, cru­dele, appa­ren­te­mente saldo nelle cer­tezza della pro­pria impu­nità. L’incontro di Gafi­tas con Zarco è di quelli fatali: per tre mesi il ragazzo di buona fami­glia passa dalla parte dei cri­mi­nali, per ragioni che hanno più a che fare con la man­canza di un atto deci­sio­nale che con la scelta con­sa­pe­vole di un destino. Uscire dalla trap­pola diventa pres­so­ché impos­si­bile quando l’inerzia ini­ziale che ha per­messo a Gafi­tas di seguire la banda nei suoi primi misfatti si con­verte nella attra­zione per la ragazza del capo, il mitico Zarco, appunto.
Sfug­gente e tut­ta­via fedele, la gio­vane Tere accom­pa­gnerà il destino di Zarco dalla sua ascesa nelle cro­na­che locali al suo approdo nella patrie galere, senza mai spa­rire dalla vita di Gafi­tas, nel frat­tempo diven­tato avvo­cato e impe­gnato nella asso­lu­zione del vec­chio amico con cui aveva con­di­viso una sta­gione di tep­pi­smo. Quanto a Zarco, se nelle prime pagine del romanzo era apparso come un «pre­cur­sore», in quelle finali è ormai ridotto un «anacronismo».
Javier Cer­cas, che sarà venerdì 17 al Salone del libro è in tour­née in Ita­lia da due mesi, ma ha comin­ciato a par­lare del suo libro solo nell’imminenza dell’uscita, qual­che giorno fa.
Diver­sa­mente da quanto accade nei romanzi che le hanno pro­cu­rato il suc­cesso, nella pagine di que­sto suo ultimo libro lei si è spinto molto più avanti nella fin­zione, sgan­cian­dosi dai fatti della Sto­ria. Quale esi­genza l’ha por­tata verso que­sta scelta?
"Intanto mi domando: esi­ste la fin­zione pura? Io credo di no. A me pare che tutta la nar­ra­tiva sia feli­ce­mente con­ta­mi­nata dalla realtà. Anche in que­sto mio ultimo romanzo i punti di con­tatto con i fatti real­mente acca­duti sono molti, a comin­ciare da ciò che riguarda la mia bio­gra­fia: il pro­ta­go­ni­sta è simile a com’ero io da ragazzo, vive a Gerona, la stessa città in cui sono cre­sciuto; ma non solo. Nel libro si parla di un feno­meno molto impor­tante e altret­tanto dimen­ti­cato che era stato tipico degli anni della tran­si­zione dalla dit­ta­tura alla demo­cra­zia, ossia il pro­li­fe­rare di bande cri­mi­nali for­mate da gio­vani diven­tati rapi­da­mente dei miti popo­lari, figure che per anni hanno nutrito una sorta di sub­cul­tura, inva­dendo i media per poi repen­ti­na­mente scom­pa­rire. Tutto ebbe ini­zio alla fine degli anni ’70 e alla metà degli ’80 era già scom­parso: fu una sta­gione effi­mera, che coin­cise con un muta­menti poli­tici molto signi­fi­ca­tivi, la sta­gione imme­dia­ta­mente suc­ces­siva alla morte di Franco. Men­tre mi stavo docu­men­tando per scri­vere Ana­to­mia di un istante, e dun­que ero alla ricerca di fonti sulla poli­tica «alta», mi imbat­tevo con­ti­nua­mente in quelli che erano, in realtà, gli argo­menti dav­vero in grado di riscuo­tere il suc­cesso delle cronache.
Ne erano pro­ta­go­ni­sti asso­luti i com­po­nenti di bande gio­va­nili, che pro­prio per la loro capa­cità di incar­nare le spe­ranze e al tempo stesso le paure della Spa­gna in que­gli anni di enorme cam­bia­mento, fun­zio­na­vano come eroi popo­lari. La loro fama era dovuta anche, se non soprat­tutto, a quel miscu­glio di fin­zione e verità di cui con­si­ste il gior­na­li­smo, un mixage il cui risul­tato si risolve in una men­zo­gna, ma in grado di dire molto del paese e della società che l’ha resa pos​si​bile​.La ste­sura di Ana­to­mia di un istante aveva com­por­tato la neces­sità di obbe­dire alla realtà dei fatti, e per me era stato come scri­vere con una mano die­tro la schiena: qual­cosa di molto dif­fi­cile e anti­na­tu­rale, che al libro era tut­ta­via neces­sa­rio. Per­ciò, poi, la rea­zione di que­sto ultimo romanzo, che risponde all’impulso di andare verso la libertà della fin­zione, ammesso – torno a dire – che esi­sta una fin­zione pura."
In tutti i suoi romanzi più impor­tanti lei cerca di iso­lare un istante signi­fi­ca­tivo, magari affi­dato a un solo gesto, e intorno a quello imba­sti­sce il filo del rac­conto che lo avvol­gerà, allon­ta­nan­dosi dal suo cen­tro e poi tor­nando a met­terlo a fuoco. In que­sto ultimo romanzo il momento chiave sem­bre­rebbe coin­ci­dere con lo sguardo del poli­ziotto che va a casa dei geni­tori di Gafi­tas per arre­starlo, ma veden­dolo tanto spau­rito iden­ti­fica in lui il bravo ragazzo sviato per caso, e lo lascia andare. Lei è d’accordo sul fatto che è que­sto, nel suo romanzo, il momento cruciale?
"Sì, anche se le ragioni che stanno die­tro i gesti che lei ha ricor­dato sono dif­fi­cil­mente son­da­bili: non si sa bene per­ché – per esem­pio – il poli­ziotto lascia andare Gafi­tas. È per via di un malin­teso, dirà più tardi, all’epoca in cui rac­conta quei fatti lon­tani. Ma nel romanzo c’è anche un altro momento essen­ziale, ed è quando quando Zarco viene inse­guito e cade men­tre Gafi­tas scappa. È un attimo domi­nato dall’ambiguità, dove pre­vale l’istinto, un momento in cui non è chiaro chi ha denun­ciato chi, e que­sto non sapere è molto importante."
Verso la fine del romanzo lei dice che in Zarco lot­tano la per­sona e il per­so­nag­gio, ma vince il secondo. Forse ciò che rende tri­ste que­sto «eroe» è la distanza da sé che deve tol­le­rare per obbe­dire al suo ruolo, è que­sto che voleva dire?
"Zarco è stato un per­so­nag­gio molto com­plesso, per­ché è basato su due, forse per­sino tre per­sone reali, ma non risponde alle carat­te­ri­sti­che di nes­suna di loro. Il suo è un ruolo creato inte­ra­mente dai mass media ed que­sto che ne fa un per­so­nag­gio così dram­ma­tico. Come tutti noi, anche Zarco è dotato di aspetti pri­vati, ma il suo per­so­nag­gio uccide la per­sona. È un dramma comune a tutti quei ragazzi che si sono ritro­vati impri­gio­nati in gab­bie costruite intorno a loro dai media, e che hanno sacri­fi­cato il pro­prio sé, nasco­sto dalla maschera che veniva loro impo­sta. La mag­gio parte di que­sti ragazzi è morta molto gio­vane, Zarco è stato una ecce­zione, la variante spa­gnola di un mito che nel cinema ha avuto vari esempi, da Billy the Kid a quel bel­lis­simo film di Car­los Saura che è In fretta in fretta. Il pro­ta­go­ni­sta era un gio­vane morto in car­cere, che non sarebbe diven­tato un cri­mi­nale se non fosse stato vinto, appunto, dal suo per­so­nag­gio. Tutti que­sti gio­vani sono stati vit­time di una misti­fi­ca­zione: nel mio libro c’è una visione molto nera del gior­na­li­smo, per­ché il suo potere è ogni giorno più grande e biso­gn­rebbe ren­der­sene respon­sa­bili. Non tutti sono all’altezza dei miti che creano."
Tor­niamo per un momento a «Ana­to­mia di un istante»: la sua costru­zione ricorda il lavoro dell’analista che inter­roga la verità di un paziente, ne riceve un rac­conto pieno di omis­sioni, non­sense e rico­stru­zioni fal­laci, poi lo ricom­pone nella scrit­tura del caso cli­nico, satu­rando i vuoti e ciò che non torna con un lavoro di inter­pre­ta­zione, e in defi­ni­tiva offrendo del paziente una verità nar­ra­tiva che non coin­cide con la verità sto­rica ma può eser­ci­tare ugual­mente una fun­zione tera­peu­tica. Que­sto disli­vello tra verità sto­rica e verità nar­ra­tiva è ciò di cui sem­bra con­si­stere «Ana­to­mia di un istante», è d’accordo?
"L’analogia con il pro­cesso ana­li­tico mi è stata, in effetti, fatta notare. Per me Ana­to­mia è un romanzo ten­den­zial­mente privo di fin­zione, dove si rac­conta la realtà dei fatti e si cer­cano, allo stesso tempo, la verità sto­rica e quella let­te­ra­ria: un obiet­tivo teo­ri­ca­mente impos­si­bile da rag­giun­gere. Con­tra­ria­mente alle Leggi della fron­tiera, e in parte anche a Sol­dati di Sala­mina, che cer­cano solo la verità nar­ra­tiva, Ana­to­mia inse­gue la verità ari­sto­te­lica della poe­sia attra­verso le figure della sto­ria, sonda quei momenti in cui la realtà sem­bra avere un senso. Il com­pito della let­te­ra­tura è mani­po­lare la realtà per tro­varle una forma, ma for­ma­liz­zarla signi­fica alte­rarla, optare per la men­zo­gna. Scri­vere Le leggi della fron­tiera ha voluto dire, per me, tor­nare alla pos­si­bi­lità di spe­ri­men­tare tutto ciò che desi­de­ravo, ha voluto dire rian­dare alla ado­le­scenza, una età della vita sulla quale non avevo mai scritto. In fondo è un Bil­dung­sro­man, eppure non lo avevo pen­sato così. Que­sto libro ha cam­biato tutta la visione dei miei lavori pas­sati e, più in gene­rale, la mia con­si­de­ra­zione stessa del romanzo, per­ciò mi piace. Ogni opera di fin­zione dovrebbe essere in grado di alte­rare la pro­pria visione della realtà: que­sta mia ultima prova, in par­ti­co­lare, mi ha por­tato a scri­vere un sag­gio che si dovrebbe inti­to­lare Il punto cieco.
L’idea è che in tutti i romanzi c’è un punto attra­verso il quale non si vede niente, e que­sto non vedere è esat­ta­mente la forma attra­verso la quale il romanzo vede: que­sta oscu­rità è la forma in cui l’intreccio si illu­mina, que­sto silen­zio è il modo in cui si fa elo­quente. Tutti i romanzi che amo con­ten­gono una domanda essen­ziale: don Chi­sciotte è pazzo o non lo è? Sì, lo è, ma allo stesso tempo è l’uomo più sag­gio del mondo. Ecco il punto cieco, il punto che non trova solu­zione. Tutti i romanzi cam­mi­nano verso una rispo­sta che non c’è, una rispo­sta che non è mai ine­qui­vo­ca­bile, chiara, tas­sa­tiva. Nelle Leggi della fron­tiera la domanda essen­ziale è di genere poli­zie­sco: chi ha tra­dito Zarco? Chi è stato il dela­tore che ha denun­ciato la sua banda? Non si saprà mai, e que­sta ambi­guità è deci­siva. Se è stata Tere, la donna di Zarco (la amante, l’amica? non si sa) il romanzo va verso una dire­zione, ma se è stato Gafi­tas il senso è tutto diverso. Sta al let­tore deci­dere. E pro­prio que­sto non sapere è la forma attra­verso la quale il romanzo sa."

Fonte: il manifesto

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