La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 22 settembre 2015

Riforma, un parlamento modello ungherese

di Mauro Volpi
La desi­gna­zione dei sena­tori da parte dei Con­si­gli regio­nali tra i pro­pri com­po­nenti non costi­tui­sce certo l’unico aspetto nega­tivo della riforma Renzi-Boschi. Basti pen­sare alla ridotta nume­ro­sità del senato, che ne dimi­nui­sce note­vol­mente il peso spe­ci­fico nella par­te­ci­pa­zione alla ele­zione di organi di garan­zia (pre­si­dente della Repub­blica, cin­que giu­dici costi­tu­zio­nali, mem­bri laici del Csm), posta di fatto nelle mani della mag­gio­ranza arti­fi­ciale di un unico par­tito alla camera. Evi­den­te­mente il man­cato ridi­men­sio­na­mento del numero dei depu­tati era sgra­dito ai con­traenti del «patto del Naza­reno» e quindi alla camera non si è appli­cato il «prin­ci­pio» della ridu­zione dei poli­tici e delle rela­tive spese sban­die­rato da Renzi per il senato. Se si guarda poi alle fun­zioni del senato, restano del tutto miste­riose quelle di veri­fica e di con­trollo, men­tre per le leggi mono­ca­me­rali la mag­gio­ranza mono­par­ti­tica della camera potrà imporre la sua volontà senza dif­fi­coltà. Inol­tre è dif­fi­cile pen­sare che un per­so­nale for­mato da con­si­glieri e sin­daci, in assenza per di più dei pre­si­denti delle regioni e dei sin­daci delle città metro­po­li­tane, possa fare oppo­si­zione alle pro­po­ste del governo, dal quale le regioni saranno più dipen­denti dal punto di vista poli­tico e finan­zia­rio gra­zie alla ricen­tra­liz­za­zione ope­rata dalla «riforma della riforma» del titolo quinto. Infine l’attuazione delle garan­zie della oppo­si­zione e il raf­for­za­mento degli isti­tuti di par­te­ci­pa­zione (leggi di ini­zia­tiva popo­lare e refe­ren­dum pro­po­si­tivo) sono rin­viati a future modi­fi­che dei rego­la­menti par­la­men­tari, a leggi ordi­na­rie e a leggi costi­tu­zio­nali, quindi in pra­tica alla buona volontà della mag­gio­ranza mono­par­ti­tica della camera.
In que­sto qua­dro la bat­ta­glia per l’elezione popo­lare del senato, anche se non suf­fi­ciente, va con­di­visa per una ragione di prin­ci­pio, deri­vante dalla neces­sità di rispon­dere alla crisi della par­te­ci­pa­zione popo­lare atte­stata dalla cre­scita dell’astensionismo, ed è con­va­li­data dai son­daggi che segna­lano la volontà di una grande mag­gio­ranza dei cit­ta­dini di eleg­gere il futuro senato.
Ma vi è anche la neces­sità di sal­va­guar­dare gli equi­li­bri costi­tu­zio­nali, com­pro­messi da una legge elet­to­rale abnorme che alla camera potrebbe asse­gnare la mag­gio­ranza più che asso­luta dei seggi ad un solo par­tito che, in con­si­de­ra­zione del livello di asten­sio­ni­smo, ottenga un numero anche ridotto dei voti degli elet­tori, e darebbe vita ad un’assemblea for­mata per circa due terzi da nominati.
Con­tro la pro­po­sta del senato elet­tivo si è sca­te­nata l’offensiva di opi­nio­ni­sti e di stu­diosi filo-renziani, che ulti­ma­mente ha uti­liz­zato argo­menti di natura com­pa­ra­tiva per squa­li­fi­carla. Così si è scritto che la desi­gna­zione indi­retta dei sena­tori sarebbe domi­nante negli Stati fede­rali e in quelli regio­nali. Per i primi niente di più falso: l’elezione popo­lare del senato è pre­vi­sta negli Stati uniti (dove fu intro­dotta nel 1913, anche per ridurre i feno­meni di cor­ru­zione deter­mi­nata dall’elezione da parte dei Par­la­menti degli Stati mem­bri), in Sviz­zera, in Austra­lia e negli Stati fede­rali latino-americani (Argen­tina, Bra­sile e Mes­sico). Quanto agli Stati regio­nali, vi è il caso, non certo di scarso rilievo, della Spa­gna, dove i quat­tro quinti dei sena­tori sono eletti dal popolo e solo il quinto restante è desi­gnato dai Par­la­menti delle Comu­nità auto­nome. Qual­cuno spo­sta l’attenzione sull’Unione euro­pea per arri­vare all’affermazione di D’Alimonte (ne Il Sole 24 Ore del 17 set­tem­bre) secondo la quale solo in cin­que paesi su ven­totto è pre­vi­sta l’elezione popo­lare della seconda camera. E’ un gioco troppo facile, ma anche age­vol­mente smon­ta­bile. La verità è che in quin­dici Paesi vi è un sistema mono­ca­me­rale, ipo­tesi che potrebbe essere cer­ta­mente accolta in Ita­lia, ma richie­de­rebbe una legge elet­to­rale pro­fon­da­mente diversa da quella appro­vata e la pre­vi­sione nella Costi­tu­zione di forti garan­zie della oppo­si­zione e delle mino­ranze. Ebbene, tra i quin­dici paesi mono­ca­me­rali quat­tor­dici adot­tano un sistema elet­to­rale pro­por­zio­nale, che in sei di essi è impo­sto dalla Costi­tu­zione. I cor­ret­tivi adot­tati in alcuni (soglia di sbar­ra­mento e ridotta dimen­sione dei col­legi) non sono in grado di garan­tire con cer­tezza che un par­tito ottenga la mag­gio­ranza asso­luta dei seggi. E nell’unico paese, la Gre­cia, che pre­vede un pre­mio di mag­gio­ranza al primo par­tito, que­sto è costi­tuito da un numero fisso di depu­tati (50 su 300) che nelle tor­nate elet­to­rali degli ultimi anni non gli ha mai con­sen­tito di rag­giun­gere la mag­gio­ranza asso­luta dei seggi. L’unico paese mono­ca­me­rale che adotta un sistema misto a pre­va­lenza mag­gio­ri­ta­ria con mec­ca­ni­smi che pos­sono dare un mag­gio­ranza abnorme al primo par­tito è l’Ungheria, che non è cer­ta­mente oggi un modello da imi­tare. Fra i tre­dici paesi bica­me­rali ben dieci hanno un sistema elet­to­rale pro­por­zio­nale e due (Regno Unito e Fran­cia) un sistema mag­gio­ri­ta­rio a uno o due turni in col­legi uni­no­mi­nali. In defi­ni­tiva, con buona pace di D’Alimonte, gra­zie all’Italicum il nostro è il solo Paese su ven­totto ad avere adot­tato un sistema elet­to­rale con pre­mio di mag­gio­ranza, dop­pio turno di lista e attri­bu­zione certa di una mag­gio­ranza più che asso­luta dei seggi ad un solo partito.
Ma quanti sono i paesi che adot­tano il modello ren­ziano del senato com­po­sto da mem­bri dei Con­si­gli regio­nali o locali da que­sti desi­gnati? Intanto dagli otto Paesi bica­me­rali che non pre­ve­dono l’elezione popo­lare della seconda camera, va scor­po­rato il Regno Unito, dove la Camera dei Lord non rap­pre­senta certo le isti­tu­zioni ter­ri­to­riali e per la quale il governo conservatore-liberale aveva pre­sen­tato un dise­gno di legge che pre­ve­deva l’elezione popo­lare dell’80% dei com­po­nenti. Ma non vi rien­tra nean­che la Ger­ma­nia che adotta un sistema non sena­to­riale, ma amba­scia­to­riale, nel quale i con­si­glieri sono espres­sione degli ese­cu­tivi dei Laen­der e ogni dele­ga­zione esprime un unico voto. In Irlanda i sena­tori non rap­pre­sen­tano le isti­tu­zioni locali, ma diversi inte­ressi cul­tu­rali e pro­fes­sio­nali, come si veri­fica in Slo­ve­nia per il 40% dei sena­tori. In Fran­cia è molto ampia la pla­tea degli elet­tori (circa 150.000) in rap­pre­sen­tanza di tutte le col­let­ti­vità ter­ri­to­riali. Non restano che Austria, Paesi Bassi e Bel­gio, ma nei primi due paesi, così come in Fran­cia, può essere eletto sena­tore qual­siasi cit­ta­dino, men­tre solo in Bel­gio 50 sena­tori su 60 sono eletti dalle assem­blee rap­pre­sen­ta­tive delle Comu­nità lin­gui­sti­che tra i pro­pri mem­bri. Uti­liz­zando il metodo D’Alimonte, si potrebbe affer­mare che ad oggi tra i ven­totto Paesi dell’Unione uno solo, il Bel­gio, pre­vede che i sena­tori siano desi­gnati dai Par­la­menti delle isti­tu­zioni ter­ri­to­riali tra i pro­pri com­po­nenti.
Infine, tra i cin­que Paesi che pre­ve­dono l’elezione popo­lare, solo in due (Ita­lia e Roma­nia) il senato vota la fidu­cia e la sfi­du­cia al governo, men­tre negli altri tre (Repub­blica Ceca, Polo­nia, Spa­gna) il rap­porto di fidu­cia inter­corre solo fra Governo e Camera dei depu­tati. Il che smen­ti­sce l’opinione secondo la quale l’elezione popo­lare del senato impor­rebbe l’esistenza del rap­porto di fidu­cia con il Governo. Inu­tile dire che in nes­sun paese bica­me­rale è pre­vi­sto che i sena­tori siano eletti dalle assem­blee ter­ri­to­riali «su indi­ca­zione degli elet­tori in base alle leggi elet­to­rali» locali, for­mula non di media­zione, ma ambi­gua e truf­fal­dina che riduce gli elet­tori a massa di mano­vra per aval­lare scelte calate dall’alto.
In defi­ni­tiva il senato voluto da Renzi non sarebbe affatto più «euro­peo» e le espe­rienze alle quali sarebbe più vicino (Austria e Bel­gio) sono con­tras­se­gnate dalla forte par­ti­tiz­za­zione e dal ruolo secon­da­rio della seconda camera.

Fonte: il manifesto 

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