La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 23 settembre 2015

Domande radicali per tempi difficili

di Riccardo Laterza
Il movi­mento stu­den­te­sco e le forme orga­niz­zate cre­sciute assieme ad esso rap­pre­sen­tano un’esperienza da cui si pos­sono rac­co­gliere indi­ca­zioni impor­tanti per chi ambi­sce a rag­giun­gere l’obiettivo della rico­stru­zione di rap­porti di forza favo­re­voli per cam­biare la nostra comune con­di­zione di subalternità.
Nel corso degli anni, le stu­den­tesse e gli stu­denti hanno sem­pre accom­pa­gnato alle riven­di­ca­zioni legate al con­te­sto della scuola e dell’università, una con­ti­nua ten­sione verso una pro­spet­tiva gene­rale, con­net­ten­dosi con altri mondi in mobi­li­ta­zione, ma soprat­tutto indi­cando i pro­cessi che inve­sti­vano — e inve­stono tut­tora — tutta la società.
Un esem­pio emble­ma­tico è stato l’Onda, quando la pro­spet­tiva più tra­di­zio­nal­mente stu­den­te­sca si è con­ta­mi­nata in maniera pro­fonda con la pro­spet­tiva di una gene­ra­zione che per la prima volta dal Dopo­guerra stava vivendo con­di­zioni peg­giori di quelle dei pro­pri geni­tori.
La lotta alla pre­ca­rietà e quella per la for­ma­zione pub­blica, di qua­lità, acces­si­bile a tutti — nella pro­spet­tiva della libe­ra­zione dei saperi da mer­ci­fi­ca­zione e pri­va­tiz­za­zione — si sono così svi­lup­pate sin­cro­ni­ca­mente, costi­tuendo un ponte pos­si­bile verso altre parti della società col­pite dal governo della crisi economico-finanziaria a livello europeo.
Pur­troppo, il movi­mento stu­den­te­sco di que­gli anni aveva lan­ciato un altro segnale oggi effet­ti­va­mente avve­ra­tosi: den­tro la crisi si è defi­ni­ti­va­mente rotto il mec­ca­ni­smo di con­senso, fidu­cia e di (mutuo) rico­no­sci­mento tra le forme tra­di­zio­nali della rap­pre­sen­tanza poli­tica e la cit­ta­di­nanza. La nostra era forse una denun­cia rab­biosa e poco pro­po­si­tiva; quella distanza tra rap­pre­sen­tanti e rap­pre­sen­tati è stata tut­ta­via nel frat­tempo col­mata da diversi sog­getti poli­tici, più o meno mar­ca­ta­mente rea­zio­nari e xeno­fobi, ma in ogni caso assai poco somi­glianti a ciò che ser­vi­rebbe per costruire e pra­ti­care l’alternativa all’esistente.
Anche nel corso dell’ultimo anno la mobi­li­ta­zione stu­den­te­sca — e del mondo della scuola in gene­rale — ha matu­rato l’opposizione alla Buona Scuola non esclu­si­va­mente su basi sin­da­cali, ma su una visione della for­ma­zione e della società radi­cal­mente diversa da quella del Governo, get­tando luce sulla rela­zione tra scuola e demo­cra­zia e, dun­que, su come l’attacco alla scuola pub­blica sia oggi, in un Paese con un altis­simo tasso di anal­fa­be­ti­smo fun­zio­nale, un attacco diretto alla capa­cità della popo­la­zione di par­te­ci­pare atti­va­mente alla vita pub­blica. Nella lotta tra la scuola della cit­ta­di­nanza e la scuola di pre­ca­rietà, Renzi ha vinto il primo round, ma scon­tando un calo note­vole di consensi.
Quali domande di ricerca pos­siamo porci a par­tire da que­ste vicende? Ne elenco molto bre­ve­mente alcune.
– Com’è pos­si­bile fare defi­ni­ti­va­mente i conti con una crisi, innan­zi­tutto della per­ce­zione del senso e dell’utilità della “poli­tica” in tutte le sue forme? E’ pro­ba­bile che nes­suna ope­ra­zione di uni­fi­ca­zione di ciò che è già orga­niz­zato potrà essere suf­fi­ciente per recu­pe­rare una rela­zione ormai lace­rata con vastis­simi set­tori della società sem­pre più pre­ca­ria e subal­terna. Serve non dare per scon­tata l’adesione di chi ambiamo orga­niz­zare agli schemi (innan­zi­tutto men­tali) secondo i quali pen­siamo di poterli orga­niz­zare. Oggi, nella società della fram­men­ta­zione, o le forze orga­niz­zate fanno della diver­sità di inte­ressi, di capa­cità di impe­gno, di com­pe­tenze, di tempi di vita e di lavoro, una ric­chezza da met­tere a sistema per costruire intel­li­genza e forza col­let­tiva, o non ci sarà alcuna affi­nità tra quanto si rin­chiude pro­gres­si­va­mente “in alto” e quanto si muove “nel basso”;
- Come muo­versi “nel basso”, in quella varietà di feno­meni molto ampia e che spesso sfugge alle cate­go­riz­za­zioni del pas­sato, inter­ro­gan­doci pro­fon­da­mente sull’utilità e soprat­tutto sulla loro com­pren­si­bi­lità? Oggi le orga­niz­za­zioni sociali hanno di fronte a sé una sfida più grande di quella che erano chia­mate a svol­gere den­tro lo svi­luppo del com­pro­messo capitale-lavoro del ‘900. Si tratta infatti di con­ce­pire l’azione delle orga­niz­za­zioni sociali oltre una divi­sione mec­ca­nica dei com­piti tra Par­tito e sog­getti sociali e den­tro un pro­cesso di (ri)politicizzazione della società: aggre­dire un piano gene­rale del discorso poli­tico, rico­sti­tuire un senso comune della pos­si­bi­lità della tra­sfor­ma­zione della realtà tra­mite l’azione quo­ti­diana del mutua­li­smo, dell’aggregazione, della ver­ten­zia­lità locale. Una tra­sfor­ma­zione radi­cale e al tempo stesso con­creta. Tutto ciò non signi­fica porsi con­tro la pro­spet­tiva della costru­zione di una rap­pre­sen­tanza poli­tica di tali istanze; la sfida è piut­to­sto quella di costruire uno spa­zio di coo­pe­ra­zione tra forme diverse dell’azione politica;
- Dove col­lo­care gli sforzi per la rico­stru­zione di rap­porti di forza favo­re­voli nella nostra società? Il livello locale, delle rela­zioni di pros­si­mità, dei pro­blemi e delle solu­zioni quo­ti­diane, è ine­vi­ta­bil­mente il primo campo d’intervento. Tut­ta­via non si può met­tere in secondo piano la pro­spet­tiva euro­pea, quella dell’azione in un campo senza e con­tro la demo­cra­zia, come il caso greco ha recen­te­mente dimo­strato. Auto­go­verno (locale) e con­nes­sione (trans­na­zio­nale) sono due ipo­tesi di lavoro che devono cam­mi­nare di pari passo.

Fonte: il manifesto

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