di Elettra Diana
La virulenza con cui lui Matteo Salvini in questi giorni ha attaccato e contrattaccato la Chiesa sul tema dell’immigrazione mette bene in luce la logica dell’amico nemico, su cui si basa da sempre la strategia del segretario della Lega. Ma, nello stesso tempo, l’attacco evidenzia anche il crescente carattere interattivo – vera e propria performance – di una siffatta strategia e il rischio di ulteriore imbarbarimento delle relazioni umane e del senso delle cose che tutto ciò porta con sé. Scorie velenose della crisi, che attecchiscono sempre più. D’altra parte tutta l’Europa ormai ne è affetta.
A Salvini non interessa per niente sviluppare argomenti – è per altro del tutto incapace di questo abilità politico-retorica – mettersi a confronto con gli altri, proporre soluzioni su cui almeno discutere, sia pure da sponde avverse. Da sempre lui è invece proprio così, un ossessivo e solipsistico ripetitore delle sue formule. Ma oggi questo aspetto è spinto all’estremo, rompe gli argini, dilaga come vera e propria arte dell’esclusiva messa in scena di quello che lui stesso vuole mettere in scena. Cioè il teatro della paura e il risvolto del cercare asilo alla paura. Cioè la necessità di creare i modi dell’autodifesa contro chi mette a rischio la sicurezza delle sacre sponde del nostro Paese.
Cioè l’urgenza di porre fine all’invasione dei migranti, rappresentati come lo straniero alle porte. E l’idea che Salvini trasmette è soprattutto che sia oggi legittimo tutelarsi dal pericolo in ogni forma e misura. I toni sempre più accesi ed enfatici che usa, per esempio, e che invitano a essere imitati, a diventare semantica dell’odio liberamente trasmissibile, senza gli obblighi dell’esangue politically correct, senza vergognarsi più di portare alla superficie di se stessi quello che si sente nel profondo. E, ancora, le ruspe, per esempio. E infine la sfida alla Chiesa, per esempio. Un vero e proprio crescendo, una performance mediatica in cui si tengono insieme, nella messa in scena salviniana. l’evocazione di ataviche paure umane di fronte all’ignoto e le contraddizioni della dimensione globale della contemporaneità, con i suoi cataclismi, le sue guerre, le sue inarrestabili trasmigrazioni di popolazioni in fuga. E le sue difficoltà a trovare soluzioni all’altezza sei problemi. E se non ci sono soluzioni, il veleno della performance va oltre la contingenza della kermesse di ponte di Legno, si sedimenta e stratifica, moltiplica i guasti dell’umano, cambia la pelle, cioè la faccia pubblica, oltre che il cuore, cioè la faccia nascosta, delle persone.
Cioè l’urgenza di porre fine all’invasione dei migranti, rappresentati come lo straniero alle porte. E l’idea che Salvini trasmette è soprattutto che sia oggi legittimo tutelarsi dal pericolo in ogni forma e misura. I toni sempre più accesi ed enfatici che usa, per esempio, e che invitano a essere imitati, a diventare semantica dell’odio liberamente trasmissibile, senza gli obblighi dell’esangue politically correct, senza vergognarsi più di portare alla superficie di se stessi quello che si sente nel profondo. E, ancora, le ruspe, per esempio. E infine la sfida alla Chiesa, per esempio. Un vero e proprio crescendo, una performance mediatica in cui si tengono insieme, nella messa in scena salviniana. l’evocazione di ataviche paure umane di fronte all’ignoto e le contraddizioni della dimensione globale della contemporaneità, con i suoi cataclismi, le sue guerre, le sue inarrestabili trasmigrazioni di popolazioni in fuga. E le sue difficoltà a trovare soluzioni all’altezza sei problemi. E se non ci sono soluzioni, il veleno della performance va oltre la contingenza della kermesse di ponte di Legno, si sedimenta e stratifica, moltiplica i guasti dell’umano, cambia la pelle, cioè la faccia pubblica, oltre che il cuore, cioè la faccia nascosta, delle persone.
La logica dell’amico nemico è ferrea, tende a essere letale. Più potente e autorevole è il nemico che ti scegli per la tua performance, maggiore è la forza di attrazione che sprigioni intorno a te, maggiore l’ammirazione di popolo che susciti, il coraggio che infondi a dire la tua, a portare alla luce ciò che quel che resta di autorevolezza dei poteri inibisce o tiene ancora sotto controllo.
la Chiesa oggi ha fatto dell’immigrazione lo snodo problematico di quel cristianesimo globale di cui Papa Francesco è interprete e per la cui soluzione lo stesso papa chiede conto al mondo. Al mondo occidentale, soprattutto. E sacrosantamente, va aggiunto. Ma bisogna conoscere bene le cose, la storia, la filiera fitta delle responsabilità. Bisogna avere memoria delle cose, bisogna avere cura del significato delle cose e delle parole, se vuoi che ancora dicano quello che per te vale, e tanto altro, che si è dissolto, nella confusa babele del gossip mediatico. Va’ a spiegare allora la complessità dei problemi a chi partecipa, in buona o cattiva fede, alla kermesse leghista di ponte di Legno, a chi vive da sempre nelle roccheforti leghiste – in crescita, stando ai sondaggi – oppure solo nei dintorni, ma soprattutto e più largamente a chi deve vivere o sopravvivere nei sempre più numerosi luoghi del disagio e dell’abbandono metropolitano, senza che nessuna politica se ne occupi davvero, senza che nessuna prospettiva di un qualche miglioramento venga avanzata, senza che la questione dell’impoverimento sociale e del rischio della guerra tra poveri diventi il centro delle preoccupazioni di chi ha nelle mani la responsabilità di governo del Paese.
Salvini sa bene che questo momento per lui è magico – questa tragica estate delle continue morti in diretta dal Mediterraneo, accolte ormai senza più indignazione, come un dato del presente e ridotte a puro calcolo statistico, quest’anno più morti dell’anno scorso e basta così. E’ un periodo particolarmente conveniente per lui, per attivare in chi lo ascolta meccanismi del profondo, imprigionare gli spiriti, creare l’atmosfera allucinata adatta ad accogliere e metabolizzare i suoi messaggi. Ed entra a gamba tesa contro tutti, occupando la scena mediatica con i suoi format, le sue performance mortifere, le sue accuse neanche tanto velate alla Chiesa per il business umanitario. Mafia Capitale gli offre una bella copertura. Gli italiani stanno subendo a un vero e proprio genocidio, dice e ridice. L’invasione degli stranieri questo provoca, insiste. Se guerra deve essere, guerra sia contro il genocidio, enfatizza. Ed è inutile spiegargli, come ho sentito fare in una trasmissione televisiva sulla 7, che il genocidio è un’altra cosa e che, se c’è qualcuno che nuore, a morire sono gli immigrati. Le parole nascono e rinascono per opera di chi le usa, hanno un significato positivo o negativo a seconda di chi le usi e le ascolti, slittano di significato, vanno avanti e indietro nella storia e nell’antropologia. Genocidio, nella performance di Salvini, vuol significare l’attentato all’italianità, alle tradizioni, alle abitudini, alla lingua, agli affari, al tornaconto, alla sicurezza, alle donne, ai figli, ai vecchi. Insomma tutto quello che a spezzoni viene fuori ormai dalle bocche di molti che vivono male i problemi del presente, che si sentono sempre più deprivati di quello che resta loro. Alla fine sfugge anche la possibilità di rispecchiarsi nell’uguale a sé. Uno straccio di identità comune, che serve ad avere meno paura. Così i migranti diventano il capro espiatorio. Storia antica che si ripete perché troppe cose nella storia si ripetono. Il valico francese, la galleria sotto la Manica, il muro lungo 170 lm in Ungheia. I respingimenti spagnoli. E tutto il resto. Salvini ha dalla sua il tornante triste e drammatico della Storia. Dobbiamo averlo chiaro. Il che fare deve fare i conti con questo. Non con il politically correct o i buoni setimenti.
Salvini sta operando su se stesso una metamorfosi anche fisica, Almeno a me così sembra. Non è uno in grado di eccellere nello storytelling, cioè nel mettere in scena narrazioni di storie condite degli artifizi della retorica e della furbizia mediatica. Tipo Berlusconi e Renzi, per capirci. Ma cerca di mettere in campo una sorta di bodytelling, di narrazione di quel che intende fare, come leader politico, attraverso il linguaggio del corpo. Corpo sempre più palestrato, posturato, stretto in un abbigliamento fatto su misura per enfatizzarne il messaggio di forza che quel corpo racchiude. E poi lo sguardo iroso, il piglio quasi militaresco. Insomma un programma nel corpo.
C’è solo da sperare che a seguirlo alla fine non siano in molti, a dispetto dei sondaggi e dello spazio smisurato di cui gode nei media. Perché il grande circo mediatico, per essere quello che è, ha bisogno di personaggi come lui.
Mi ha lasciato basita – lo ammetto – la virulenza di Salvini nel suo attacco alla Chiesa sulla questione dell’immigrazione. Una virulenza che è andata oltre le dinamiche tra sconnessioni e riconnessione delle cose, cioè un nodo problematico che ritengo essenziale capire per capire qualcosa di questa epoca. Non me l’aspettava in questa misura. Ma ancora di più mi ha lasciato basita il clima di imperturbabile indifferenza o di formale presa di distanza che dal mondo politico è venuto. Forse questo l’aspetto più preoccupante.
Fonte: Sinistra Ecologia Libertà
Fonte: Sinistra Ecologia Libertà
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