La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 19 agosto 2015

Poca ideologia e buon senso popolare

Atene, sola come Praga nel 1968, ha dovuto per il momento arren­dersi non per errori di que­sto o quel suo lea­der, ma sem­pli­ce­mente per­ché le forze in campo erano troppo impari. La sini­stra euro­pea non è inter­ve­nuta in suo aiuto. In par­ti­co­lare, non è inter­ve­nuta – a parte le dichia­ra­zioni di soli­da­rietà e il tifo da bordo campo – la sini­stra ita­liana. Né poteva farlo, essendo divisa in un numero inde­fi­nito di par­titi e tron­coni che, nono­stante l’esempio di Syriza e diversi anni di “trat­ta­tive uni­ta­rie”, non hanno – irre­spon­sa­bil­mente – fatto il minimo passo sulla via dell’unità. E’ il debito che abbiamo con la Gre­cia. Con la Gre­cia, cioè in realtà con noi stessi.
Una parte non pic­cola dell’Italia – la Sici­lia, ad esem­pio – versa in con­di­zioni peg­giori della Gre­cia, e gli ultimi rap­porti sta­ti­stici ne danno pieno conto. Nella cata­strofe sici­liana inter­ven­gono fat­tori spe­ci­fici: il peso del potere mafioso e la ter­ri­fi­cante inca­pa­cità di tutta la classe poli­tica locale. Ma anche qui la sini­stra, divisa e astratta, non è stata capace né di unirsi né di per­ce­pire l’idea di lotte uni­fi­canti come ad esem­pio quella per l’antimafia sociale, poli­tica e non sem­pli­ce­mente lega­li­ta­ria. In que­sta emer­genza, che fare?


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Primo. Biso­gna unire al più pre­sto subito, entro l’autunno, tutte le forze di sini­stra, nes­suna esclusa: da Sel al Pcr ai “civa­tiani” alla Coa­li­zione sociale a Fas­sina. Ogni set­ti­mana persa su que­sto ter­reno implica l’accettazione della scon­fitta e il tra­di­mento del popolo sici­liano. Le for­ma­zioni par­ziali, con le loro varie e uto­pi­sti­che ambi­zioni, non hanno più alcun senso.
Secondo. L’accordo fra le varie com­po­nenti è solo una pre­con­di­zione. L’abbiamo fatto – ricor­date – altre due volte: l’Arcobaleno, la Rivo­lu­zione Civile. E’ andata buca tutt’e due le volte, e se ci com­por­tiamo come allora andrà buca una terza. Faremo un’altra Sini­stra Arco­ba­leno col bilan­cino? Pun­te­remo su un altro Vip come Ingroia o la Spi­nelli?
Terzo. Il manuale Cen­celli non fun­ziona, soprat­tutto fra pic­coli par­titi. Biso­gna allar­garsi mol­tis­simo, abi­tuarsi a rischiare tutto. Il nostro can­di­dato medio non dev’essere un diri­gente del mini­par­tito A o del mini­par­tito B. Dev’essere qualcos’altro – e c’è mol­tis­simo da sce­gliere, se si ha il corag­gio di aprire le porte dei for­tini. Oppure siamo con­vinti che i for­tini ser­vano ancora a qual­cosa?
Quarto. Dovremmo impa­rare ad espri­merci, espri­merci in ita­liano. Il lin­guag­gio di tutti i gruppi di sini­stra è sem­pli­ce­mente ille­gi­bile: una ver­sione “moderna” del latino eccle­sia­stico. Non è un fatto tec­nico, ma pro­fon­da­mente poli­tico. Non riu­sciamo a comu­ni­care per­ché in realtà vogliamo solo “dibat­tere” fra di noi, non comu­ni­care con l’esterno.
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Se non par­liamo come le per­sone comuni, non avremo mai il voto delle per­sone comuni. Ma soprat­tutto non impa­re­remo mai dalle per­sone comuni. Il nostro bacino elet­to­rale – non quello del quat­tro per­cento, ma quello della Syriza o Pode­mos ita­liana – si aggira sul ven­ti­cin­que per­cento. Metà sono per­sone che non hanno votato, non per­ché par­ti­co­lar­mente rivo­lu­zio­na­rie, ma sem­pli­ce­mente per­ché per­plesse. Metà sono cat­to­lici cui il mes­sag­gio di Papa Fran­ce­sco sta arri­vando a poco a poco, len­ta­mente.
Ma siamo in grado di com­pren­derli, di par­lare real­mente con loro, usando un lin­guag­gio comune e non i nostri ger­ghi?
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Que­ste quat­tro que­stioni sono – qui e ora – le uni­che cose impor­tanti. Le alchi­mie di cor­rente, le diplo­ma­zie, le pic­cole cari­che da con­ser­vare o otte­nere invece non sono impor­tanti, non qui, non ora.
Vogliamo un’Europa dei popoli, non delle mafie e delle ban­che come ora. Vogliamo l’Europa delle “Let­tere della Resi­stenza Euro­pea”. Migliaia di esseri umani, di venti nazioni diverse, che hanno lot­tato per fare un’Europa popo­lare. Ci indi­cano una strada pre­cisa. E’ tempo di rimet­terci in cam­mino, seria­mente e tutti insieme.
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La mafia, il potere mafioso, l’economia mafiosa (cioè gli assas­sini sto­rici della Sici­lia, e non solo) non saranno mai com­bat­tute da quest’Europa di finan­zieri. Dob­biamo libe­rare l’Europa, per libe­rare dav­vero anche noi sici­liani. Lan­ciamo una lotta di massa per ripren­derci i miliardi che ci hanno rubato i mafiosi e i loro amici, e comin­ciare a divi­der­celi fra noi sici­liani. A comin­ciare dai nostri gio­vani, umi­liati all’estero e stroz­zati a casa loro.
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La Gre­cia ha sma­sche­rato il vero volto dell’oligarchia d’Europa. Que­sto esem­pio, pagato da tutto un popolo, non deve andare spre­cato. Unia­moci, ma subito e non fra sei mesi. Chia­miamo diri­genti nuovi a diri­gerci, che ven­gano dalle strade e non dalle stanze chiuse. Ripren­diamo la vec­chia strada della sini­stra: lotte di massa, aperte a tutti, con poca ideo­lo­gia ma molto buon­senso popo­lare, a par­tire da quelle – sto­ri­che, qui in Sici­lia – con­tro i poteri mafiosi e para­ma­fiosi. Pen­siamo a delle liste popo­lari, con can­di­dati scelti dal basso e non nelle segre­te­rie.
Aiu­tiamo la Gre­cia, aiu­tiamo noi stessi, subito, a par­tire dalla Sici­lia. La Sici­lia non dev’essere il labo­ra­to­rio per l’ennesima alchi­mia di potere locale, ma l’avanguardia della riscossa con­tro i poteri reali. Oggi con­tro la mafia, domani con­tro Mar­chionne. E poi con­tro i poteri eco­no­mici di que­sta falsa Europa. Un passo alla volta, ma comin­ciando subito. Solo così avremo il diritto di guar­dare in fac­cia i greci.

Olga Nas­sis, Anto­nella Nuc­cio (Mes­sina); Resi Iurato, Ester Nobile (Ragusa); Angela Galici, Clara Denaro (Palermo); Giu­liana Buz­zone, Enza Vene­zia (Cata­nia); Ver­diana Mor­reale, Gia­coma Di Fran­ceco (Cal­ta­nis­setta); Tiziana Biondi, Daria Di Gio­vanni (Sira­cusa). Ade­ri­scono: Ermanno Gia­ca­lone, Ric­cardo Orioles
Fonte: il manifesto

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