La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 19 agosto 2015

Braccianti: una strage infinita


di Gianmario Leone
E’ finito in coma dopo essere stato col­pito da un infarto men­tre lavo­rava in una vigna sotto un ten­done nelle cam­pa­gne del nord-barese. Arcan­gelo, que­sto il nome del 42enne di San Gior­gio Ionico (pae­sino della pro­vin­cia di Taranto), stava svol­gendo le ope­ra­zioni di aci­nel­la­tura, che con­si­stono nello stac­care dal grap­polo d’uva gli acini più pic­coli, quelli che non si sono svi­lup­pati: un lavoro com­plesso e stan­cante visto che com­porta lo stare in piedi su una cas­setta per ore con la testa all’insù. A un certo punto però, il cuore di Arcan­gelo ha ceduto di schianto.
L’episodio è avve­nuto circa dieci giorni fa, ma la noti­zia è stata dif­fusa solo ieri dalla Flai Cgil Puglia. Il brac­ciante «lavo­rava circa 7 ore al giorno, alle quali si devono aggiun­gere le 5 ore di stra­sporto — spiega Giu­seppe Deleo­nar­dis segre­ta­rio gene­rale della fede­ra­zione pugliese — Pro­prio per il tra­sporto l’uomo pagava 12 euro al capo­rale, a fronte di una paga che supera di poco i 27 euro al giorno. Sala­rio, quest’ultimo, che viene cor­ri­spo­sto alle donne».

L’ennesimo caso di capo­ra­lato insomma. Tra l’altro, per un maca­bro scherzo del destino, il brac­ciante stava lavo­rando nella stessa zona di cam­pa­gna, fra Andria e Canosa di Puglia, nel nord-barese, in cui il 13 luglio scorso è morta per un malore un’altra brac­ciante di San Gior­gio Jonico, Paola Cle­mente, di 49 anni, madre di te figli. «Quel che è certo — ha aggiunto Deleo­nar­dis della Flai Cgil — è che Arcan­gelo lavo­rava per la stessa agen­zia inte­ri­nale per cui lavo­rava Paola».
Il sin­da­ca­li­sta Cgil ha poi avan­zato un sospetto tutto da appro­fon­dire: ovvero che «in quelle cam­pa­gne si usino fito­far­maci peri­co­losi che fanno sen­tire male gli ope­rai». Il segre­ta­rio ha pro­messo che la Flai Cgil farà di tutto «per rom­pere il muro di omertà che copre quelle che sono le reali con­di­zioni di vita dei brac­cianti agri­coli in Puglia». La regione sol­tanto nell’ultimo mese ha regi­strato ben tre decessi.
L’uomo ori­gi­na­rio del taran­tino, sarebbe stato col­pito da infarto, secondo quanto appreso dalla stessa Flai Cgil che però ha avuto gran­dis­sime dif­fi­coltà nel rico­struire la vicenda per la solita cor­tina di silen­zio che ogni volta si alza quando acca­dono epi­sodi del genere. Ora il brac­ciante si trova rico­ve­rato all’ospedale San Carlo di Potenza.
«Al di là del sin­golo epi­so­dio — ha con­cluso Deleo­nar­dis — da anni denun­ciamo uno sfrut­ta­mento che non riguarda solo gli immi­grati ma anche ita­liani e molte donne. E magari si veri­fi­cano in aziende finan­ziate da fondi pub­blici. Abbiamo una legge regio­nale di eccel­lenza, quella che pre­vede gli indici di con­gruità, che però non esplica com­ple­ta­mente la sua effi­ca­cia per la man­canza di con­trolli. Baste­rebbe sem­pli­ce­mente applicarla».
A tal pro­po­sito, il 6 ago­sto scorso, dopo il decesso di Zaka­ria Ben Has­sine, il 52enne tuni­sino morto il 3 ago­sto in un’azienda di Poli­gnano a Mare, si svolse nella sede della Regione Puglia a Bari un incon­tro tra l’assessorato al Lavoro e all’Agricoltura e i sin­da­cati con­fe­de­rali e di cate­go­ria per la que­stione del lavoro nero nelle cam­pa­gne. «Abbiamo voluto — spiegò nell’occasione l’assessore al Lavoro Seba­stiano Leo — affron­tare con i sin­da­cati, e lo faremo anche con le parti dato­riali, la que­stione ognuno per le pro­prie com­pe­tenze. Abbiamo una con­ven­zione del 2013 per la lotta al lavoro nero e occorre capire come e quanto sia stata appli­cata, visto pochis­sime aziende sem­brano aver ade­rito alle liste di pre­no­ta­zione, uti­liz­zando pochis­simo dei fondi a dispo­si­zione». Il giorno dopo, i mini­steri del Lavoro e delle Poli­ti­che Agri­cole pro­mi­sero una stretta sui con­trolli con­tro il capo­ra­lato: la Dire­zione gene­rale per l’attività ispet­tiva del mini­stero del Lavoro informò di aver dato indi­ca­zione alle Dire­zioni inter­re­gio­nali e ter­ri­to­riali di coin­vol­gere i respon­sa­bili dei ser­vizi pre­ven­zione delle Asl nelle atti­vità di vigi­lanza già pro­gram­mate e sulla base di intese pre­ven­tive o prassi con­so­li­date. Il mini­stero delle Poli­ti­che agri­cole chiese inol­tre la con­vo­ca­zione urgente della Cabina di regia della “Rete del Lavoro agri­colo di qua­lità”. Intro­dotta con il prov­ve­di­mento Cam­po­li­bero e ope­ra­tiva da feb­braio, per la prima volta in Ita­lia si è creato un coor­di­na­mento per il con­tra­sto dello sfrut­ta­mento nel lavoro agricolo.
Ma di lavoro da fare ce n’è ancora molto. Secondo il rap­porto “Agro­ma­fie e Capo­ra­lato 2014″, redatto dall’Osservatorio Pla­cido Riz­zotto per conto della Flai Cgil, sono circa 400 mila i lavo­ra­tori che tro­vano un impiego tra­mite i capo­rali, di cui 100 mila pre­sen­tano forme di grave assog­get­ta­mento dovute a con­di­zioni abi­ta­tive e ambien­tali con­si­de­rate para­schia­vi­sti­che. Per salari da appena 4–500 euro in due mesi di lavoro. Inde­gno per un paese che con­ti­nua a con­si­de­rarsi civile.

Fonte: il manifesto

Approfondimento. Morta per due euro l'ora. Ora basta!
di Raffaella Cosentino e Giuliano Foschini
"Andava via di casa alle 2 di notte. Prendeva l'autobus alle 3. Ai campi, ad Andria, da San Giorgio Jonico, arrivava intorno alle 5.30. Noi a casa la rivedevamo non prima delle 3 del pomeriggio, in alcuni casi anche alle 6. Guadagnava 27 euro al giorno. Poco. Ma per noi quei soldi erano importanti, erano soldi sicuri, assolutamente indispensabili. Fin quando è arrivata quella telefonata: Paola si era sentita male, io non sono riuscito nemmeno a salutarla: ora Paola non c'è più".
Bisogna fermarsi un attimo prima di ascoltare la storia di Paola Clemente, martire, prima che bracciante. Perché è una storia di schiavitù, accaduta a pochi chilometri dalle discoteche, dalle masserie a cinque stelle, dalla Puglia che assomiglia alla California. E questa volta non c'è nemmeno la possibile coperta razzista per nascondere la faccia: questi sono tutti italiani, schiavi e caporali. Paola Clemente, 49 anni, è morta il 13 luglio ad Andria mentre lavorava all'acinellatura dell'uva. Viveva insieme con suo marito e i suoi tre figli a San Giorgio Jonico, trecento chilometri di distanza circa.
"Ci troviamo di fronte a un terribile caso di caporalato" dice soppesando le parole Peppino De Leonardis, segretario della Flai Cgil. "Una storia in cui i braccianti sono costretti a dare parte del loro compenso al caporale". Se non fosse stato per loro, alla tenacia sindacale di qualche dirigente, questa storia sarebbe rimasta sommersa, sparita nel nulla. Paola è stata già sepolta. "Ma ci sono cose che non possono rimanere senza un colpevole. Noi siamo qui e andremo fino in fondo " dice De Leonardis che, d'accordo con la famiglia di Paola, ha messo il dossier sul tavolo di un team di avvocati di primissimo livello: Vito Miccolis, Pasquale Chieco e Giovanni Vinci. Stefano Arcuri, il marito di Paola Clemente, non chiedeva altro. All'inizio era spaventato. Poi ha deciso che bisogna arrivare in fondo a questa storia.
Da quanto tempo lavorava sua moglie?
"Da sempre. Quello nei campi è sempre stato il suo mestiere. E da qualche tempo lavorava appunto ad Andria insieme a una serie di persone".
In cosa consisteva il lavoro di sua moglie?
"Acinellatura. Tolgono gli acini più piccoli per fare bello il grappolo. È necessario quindi che le braccianti salgano su una cassetta e tolgano l'acinino. Significa stare con le braccia tese e con la testa alzata per tutta la giornata. È un lavoro molto faticoso, ma non potevamo fare altrimenti".
In che senso?
"I soldi servivano".
Quanto guadagnava?
"Ventisette euro al giorno".
Se conta anche il viaggio, sono tredici ore di lavoro al giorno. Meno di due euro l'ora. È schiavitù.
"Erano soldi sicuri. Per come stanno le cose in Italia era denaro importantissimo, per Paola e per noi. Erano indispensabili. Ci permettevano di campare".
Si era mai lamentata della fatica?
"Siamo abituati a lavorare. E a stare in silenzio. Paola non stava male, me l'avrebbe detto. A parte la cervicale, di cui soffriva in modo cronico, non aveva altri dolori. Non era cardiopatica. Si lamentava, ripeto, soltanto di questi dolori al collo ogni tanto, ma niente che ci avesse mai fatto preoccupare più di tanto. L'avevano vista dei medici, e bastavano un paio di punture per fare passare tutto".
Come stava sua moglie quel 13 luglio?
"Bene. È uscita di casa con le sue gambe. Niente che ci potesse far pensare a quello che è successo, anche perché altrimenti non sarebbe andata al lavoro".
Poi?
"In mattinata mi hanno chiamato da Andria per dirmi che Paola si era sentita male e stava arrivando il 118. Ho capito subito che non mi stavano dicendo tutta la verità. Chiedevo: "Ma si è ripresa?". Dopo mezz'ora di silenzi, ho capito che era morta. È stato il momento più brutto della mia vita. In un primi momento mi hanno detto fosse all'ospedale di Barletta. Poi hanno cambiato versione: Andria. Sono arrivato dopo un viaggio massacrante da San Giorgio. Ho cercato dappertutto, dai reparti alla camera mortuaria ma non risultava proprio essere entrata. Nessuno sapeva chi fosse Paola. Abbiamo richiamato di nuovo lo stesso numero e, un po' alla volta, a pezzettini, ci hanno detto la verità: mia moglie si trovava nella camera mortuaria del cimitero. Lì l'abbiamo trovata".
Com'è morta sua moglie?
"Non lo so. Dicono infarto. Ma non abbiamo niente, né un referto, né l'esito del soccorso dell'ambulanza. Mi hanno detto che è intervenuto il 118, ma non sono sicuro".
L'azienda per cui lavorava sua moglie dice che aveva un contratto regolare, mediato da un'agenzia interinale. È così?
"Non conosco i particolari, ma so che era assicurata". Interviene De Leonardis, il sindacalista: "Ci sono problemi, cose che stiamo verificando. Sicuramente c'era il pagamento di un intermediario".
Ora cosa chiedete?
"Io non mi rendo ancora conto di quello che è accaduto. Ho l'impressione che lei debba ancora tornare dal lavoro da un momento all'altro, non riesco ad accettare che non sia accanto a me, a casa. Non è pensabile non vederla la sera a tavola, dal rientro dei campi, con i nostri tre figli. Paola era una cuoca straordinaria. Abbiamo comprato casa con il mutuo e a dicembre finiremo di pagarlo. Era la nostra conquista. E invece... Ci siamo sposati nel 1987, sono 28 anni di matrimonio. Non esisto senza di lei, sono solo, i ragazzi ormai sono grandi. E so che il brutto deve ancora venire. Per questo ora devo combattere per lei".
Che significa?
"Vogliamo verità. Noi siamo gente semplice. E vogliamo semplicemente sapere di cosa è morta mia moglie. Chi e cosa l'ha uccisa. Vogliamo che sia fatta l'autopsia, mi fido della magistratura: ci sono delle cose più grandi di me ma abbiamo una dignità. E ho il diritto di sapere perché la cosa più bella della mia vita non c'è più".

Fonte: La Repubblica

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