La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 19 agosto 2015

La maternità negata


di Fabio Sebastiani
Si è parlato molto in questi giorni di come nell’apparato giuridico-repressivo la condizione di maternità negata venga inquadrata come “accessorio della pena”. E’ un criterio questo non così lontano da quello utilizzato nel mondo del lavoro. Solo che l’opinione pubblica non sembra curarsene più di tanto. Eppure i casi sonon tanti. Moltiplicati dalla precarietà, e dalla “circostanza” che il progressivo azzeramento dei diritti praticamente ha già segnato una cambiamento epocale. Fatto sta è dal 2005 che l'Italia è in forte arretramento sul piano della natalità. Oggi si trova negli ultimi posti a livello mondiale. 
Quando non è il "settore privato" ad occuparsi di maternità negata, ecco che il "pubblico", o meglio la pubblica amministrazione che assume le vesti del "padrone" corre a coprire i buchi. Come non ragionare, per esempio, sul fatto che ciò che si sta consumando ai danni delle insegnanti precarie madri o in procinto di diventarlo è innanzitutto un attacco senza precedenti alla possibilità di costruire una faimglia?
Come è possibile anche soltanto pensare di poter procreare lontano dai propri affetti e dalla propria rete di assistenza, visto che un “aiuto pubblico” non c’è? Il ricatto del lavoro, insomma, sta “asfaltando” non solo i diritti ma la condizione minima di sopravvivenza delle persone.
Riportiamo qui due casi, scelti tra quelli più recenti.
Pamela, 30enne, mamma di una bambina di un anno e mezzo, single e dipendente del negozio Dolce & Gabbana dell’Aeroporto di Fiumicino, è stata comandata in trasferta a 50 km dal suo luogo di lavoro, fuori del suo comune di residenza e le è stato assegnato arbitrariamente un orario non contrattuale che stravolge la sua vita familiare.
Pamela, due giorni prima del suo rientro in servizio, dopo quasi un mese di infortunio causato dal rogo di Fiumicino, si è vista recapitare una fredda raccomandata che le ha annunciato la beffa dopo il danno subito. Senza considerare che Dolce & Gabbana ha un altro punto vendita all'interno dell'aeroporto, lontano dalle aree interessate dall'incendio.
“E’ incredibile – dice a commento Francesco Iacovone dell’Esecutivo Nazionale USB Lavoro Privato - Dolce &Gabbana si dimostra ancora una volta poco sensibile al problema femminile”. “Dopo aver esposto alcune delle sue dipendenti a gravissimi rischi per la salute - prosegue il sindacalista Usb - facendole operare, nei mesi successivi all’incendio, nelle zone compromesse dell'Aeroporto di Fiumicino, per togliersi le castagne dal fuoco le comanda in trasferta senza il giusto preavviso e violando le norme contrattuali”.
L’altro caso è quello di una lavoratrice di Melfi, che dopo un lungo calvario legato alla sua maternità, si è vista recapitare un trasferimento a mille chilometri di distanza, a Chivasso, in provincia di Torino.
Lavorare in Fiat per le donne e soprattutto per quelle che hanno figli è sempre stato difficile; nell'era Marchionne diventa quasi impossibile. Giorgia Calamita, operaia assunta alla Sata di Melfi nel 1992 e in seguito “terziarizzata” alla Fenice (che alla Fca di Melfi fornisce servizi eco-energetici). Da quando è rientrata dalla maternità ha dovuto fare i conti con lo stalking quotidiano e con il demansionamento. Fino al provvedimento di trasferimento presso la sede di Chivasso (Torino), a 1.000 chilometri di distanza da casa. Contro questa situazione Giorgia Calamita è ricorsa alla magistratura ordinaria. Sulla vicenda è stata presentata un'interrogazione parlamentare da parte del senatore Giovanni Barozzino, capogruppo di Sel in commissione lavoro, firmata da numerosi senatrici e senatori di altri gruppi parlamentari. A sostegno delle ragioni dell'operaia di Melfi è anche intervenuta con una nota Livia Turco, Presidente della Fondazione Nilde Iotti.

Fonte: controlacrisi.org

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