La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 19 agosto 2015

L’autunno di Dilma Rousseff

di Gwinne Dyer
Il 16 agosto le città del Brasile si sono riempite di manifestanti che reclamavano l’incriminazione della presidente Dilma Rousseff, rieletta per un soffio lo scorso ottobre. Nessuno di loro ha fatto alcun riferimento al principio di Peter. Ma se Rousseff fosse stata un’alta dirigente di una qualsiasi amministrazione, pubblica o privata, sicuramente oggi sarebbe chiaro che ha raggiunto il suo “livello d’incompetenza”.
Dobbiamo l’intuizione secondo la quale “i manager salgono di grado fino al proprio livello d’incompetenza” a Laurence J. Peter, che mezzo secolo fa ha affermato che le persone vengono promosse in base al successo ottenuto nel loro ultimo incarico e non alla loro predisposizione per quello successivo. Così è inevitabile che alla fine siano promosse a un incarico che non sono in condizione di svolgere adeguatamente. E questo vale anche per chi non è un manager in senso stretto.
Dilma Rousseff ha avuto successo come guerrigliera di sinistra in lotta contro il regime militare brasiliano negli anni ottanta: arrestata e torturata per tre giorni, non ha aperto bocca. Ha avuto successo come capo di gabinetto del primo presidente del Brasile proveniente dalla classe operaia, Luis Inácio “Lula” da Silva, tra il 2003 e il 2010. Ha avuto successo quando è stata eletta come successore di Lula nel 2010 e quando è stata rieletta dopo una sfida serrata lo scorso anno. Ma fare la presidente non fa parte delle suo bagaglio di abilità.
Due anni fa Rousseff godeva di un tasso di approvazione del 66 per cento. Secondo gli ultimi sondaggi dell’istituto Datafolha, ormai solo l’8 per cento della popolazione la giudica positivamente, mentre il 71 per cento disapprova il suo operato. Due terzi degli intervistati ritengono che il congresso brasiliano dovrebbe incriminarla e rimuoverla dalla sua carica.
Parte del problema è economico. Dopo aver toccato il 7 per cento nel 2010 la crescita è crollata, e si prevede che quest’anno l’economia si contrarrà del 2 per cento. Non è tutta colpa di Rousseff: il crollo mondiale dei prezzi delle materie prime ha colpito il Brasile in maniera particolarmente forte. Ma nella pratica è sempre al governo in carica che viene data la colpa.
Inoltre le misure di austerità che ha imposto dopo il crollo delle entrate hanno colpito i brasiliani poveri che costituiscono la sua base elettorale. Finora non ha toccato la famosa Bolsa familia (borsa famiglia), un piccolo sostegno economico che ha fatto uscire 36 milioni di persone dalla povertà estrema, e promette di proseguire l’opera aumentando il salario minimo. Ma le pensioni e i sussidi alla disoccupazione sono già stati tagliati.
Un problema ancora maggiore per Rousseff è l’indagine giudiziaria soprannominatalava jato (autolavaggio), il più grande scandalo di corruzione nella già impressionante storia del Brasile al riguardo. Al centro ci sono dei contratti di un valore stimato di circa 22 miliardi di dollari, spalmati su quasi due decenni, che riguardano la Petrobras, la più grande compagnia petrolifera dell’America Latina.
Parte della somma riguardava bustarelle per lucro personale, ma pare che il grosso sia denaro sottratto a contratti governativi per finanziare campagne elettorali e altre attività politiche dei partiti. Poiché i partiti al potere per buona parte di questo periodo sono stati il Partito dei lavoratori di Rousseff e il suo partner di coalizione, il Movimento democratico brasiliano, decine di dirigenti di entrambi i partiti sono stati arrestati.
Ma la cosa peggiore è che Rousseff ha presieduto la Petrobras tra il 2003 e il 2010. Dato che non era il suo lavoro principale, lei nega di essere stata al corrente di qualsiasi atto di corruzione. Gli inquirenti inoltre affermano che non ci sono prove che la colleghino alla corruzione. Ma la gente vuole qualcuno a cui dare la colpa e sono proprio le regioni più povere del paese a chiedere con più forza la sua incriminazione.
D’altra parte, non ci sono accuse a Rousseff che giustifichino l’incriminazione. Teoricamente, anche in assenza di tali accuse, potrebbe essere comunque incriminata da una maggioranza dei due terzi del parlamento. Ma è una prospettiva impossibile nell’attuale congresso brasiliano.
Rousseff può quindi semplicemente tenere duro e andare avanti, come ha fatto finora. Alle grandi manifestazioni di domenica hanno partecipato perlopiù bianchi della classe media che probabilmente non l’hanno mai votata. Il suo elettorato, formato dai brasiliani più poveri, per quanto arrabbiato per l’austerità e l’aumento dell’inflazione, non è ancora sceso in piazza contro di lei.
Ma le cose potrebbero cambiare se l’economia dovesse ulteriormente peggiorare. Un’importante flessione economica della Cina, il principale mercato d’esportazione del Brasile, potrebbe creare grossi problemi a Rousseff. Se non dovesse emergere alcuna prova che la colleghi chiaramente alla corruzione della Petrobras, tuttavia, potrà probabilmente restare in carica fino alla fine del suo mandato nel 2018. Ma non riuscirà a riconquistare la fiducia degli elettori.
A Rousseff non manca né l’intelligenza né l’esperienza per essere una buona presidente, e il più delle volte individua correttamente le priorità economiche e sociali. Non ci sono ragioni di pensare che Lula, l’uomo che ha cambiato in meglio il paese agli occhi dei brasiliani poveri, avrebbe reagito meglio alle difficoltà economiche con cui si è scontrata Rousseff. Ma Lula sarebbe ancora popolare, e lei non lo è affatto.
Ci prova con tutta sé stessa, ma proprio non ci riesce. Ha raggiunto il suo livello d’incompetenza politica, e i prossimi tre anni si annunciano molto lunghi per lei e per il Brasile.

Fonte: Internazionale

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.