La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 19 agosto 2015

Di 66 donne nigeriane e della loro odissea

di Daniele Biella
La storia è di quelle tremende. 66 ragazze nigeriane, tra cui molte all’apparenza minorenni, se ne vanno dalla madrepatria, ognuna per contro proprio e con un vissuto di violenza o privazioni alle spalle. Nella loro fuga verso Nord vengono intercettate da chi lucra sulla pelle umana con la tratta, e dopo l’inferno libico – anche qui, abusi all’ordine del giorno – vengono inviate assieme in Italia sui barconi, “stranamente gratis, probabilmente perché c’è qualcuno pronto a riprendersele, una volta ottenuto il permesso umanitario, e avviarle alla prostituzione”, ragionaGabriella Guido, coordinatrice della Campagna LasciateCIEntrare, formata da associazioni, avvocati e giornalisti che dal 2011 monitora le situazioni di detenzione amministrativa ai confini della legalità che avvengono nei famigerati Cie, i Centri di identificazione ed espulsione ancora attivi sul territorio italiano nonostante le molteplici intenzioni di chiusura da parte del mondo politico.
Perché si parla di Cie in questa triste vicenda? Perché le giovani sono ora rinchiuse nel Centro di Ponte Galeria, Roma, “con un foglio di via in mano rilasciato loro all’arrivo a Lampedusa a fine luglio, ma anche con una richiesta di asilo che ora dovrà essere vagliata dalle autorità”, spiega la coordinatrice di LasciateCIEntrare.
È stata una corsa contro il tempo quella di Guido e gli altri volontari, tra cui le associazioni Be Free e A buon diritto: venuti a sapere della situazione delle ragazze, hanno richiesto un permesso di visita al centro – legittimo e, quindi, concesso dalla Procura – il 7 agosto 2015, nel quale hanno conosciuto le ragazze. Dopo una settimana esatta, vi sono rientrate. Guido racconta quei momenti a tinte forti: “Il 14 agosto rientriamo nel Cie di Ponte Galeria, tornati per rivedere le 66 donne nigeriane. Questo secondo incontro è stato “impegnativo” per chi da anni si occupa di immigrazione, violazione dei diritti umani e detenzione amministrativa. Le ragazze mi riconoscono, cominciano a fidarsi, cominciamo a diventare figure di riferimento alle quali poter raccontare la loro storia ma soprattutto chiedere aiuto. Aiuto perché hanno ancora paura. Paura del loro futuro, di capire che fine faranno. Rimarranno in Italia? Dove? Quanto dovranno stare ancora in quella che chiamano la prigione italiana?”.
La coordinatrice di LasciateCIEntrare continua: “Spieghiamo alle ragazze che quel trattenimento è ‘amministrativo’, in attesa che le Commissioni valutino le loro storie e le loro domande di asilo. Ci rispondono che arrivando in Italia tutto si aspettavano tranne che di essere di nuovo rinchiuse, di nuovo senza libertà. Speravano di essere accolte. Stremate, abusate, violate nel corpo e nell’anima cercavano protezione, tutti scappano in Europa, in Italia, paesi che, gli veniva detto, accolgono i migranti.
Oggi sono più decise, oggi i loro racconti sgorgano come fiumi in piena. Molte di loro scoppieranno a piangere nel parlare e nell’ascoltare. Oggi ci vogliono mostrare qualcos’altro. C'è un giornalista con la telecamera con noi (Valerio Cataldi, che poi ha raccontato la storia per il TG2). Decidono di non nascondere qualcosa che non immaginavamo. Una ragazza ha uno sguardo forte, duro. Comincia a raccontare di quando era in Nigeria, delle violenze alle quali non è riuscita a sfuggire, di quando al mercato si è trovata in mezzo ad una rivolta, è scoppiato un ordigno, lei era lì. Si alza di scatto e con rabbia la maglietta, si denuda le gambe, mostrandoci le orribili cicatrici che ha ovunque. Metà del suo corpo è pelle bruciata, raggrinzita, accartocciata. Racconta della fuga, di come nessuno l'abbia mai curata, di come abbia attraversato il deserto dalla Nigeria al Niger, e da lì l'arrivo in Libia. Le percosse, gli abusi sessuali, le minacce. Per una ragazza sola il percorso, la storia, è sempre quella. Non sai a chi chiedere aiuto, la maggior parte delle volte sei rapita, o dai trafficanti o dalle forze di polizia corrotte. Alcune di loro passano mesi anche nelle prigioni. Nelle prigioni libiche dove anche la polizia ti stupra e ti massacra di botte. Per poi toglierti acqua e cibo se non assecondi le loro voglie sessuali. Mentre parlano molte si guardano negli occhi, senza bisogno di altre parole. Tutte si capiscono perché hanno tutte più o meno la stessa storia. Storie e corpi segnati dagli stupri, dalle violenze, dalle torture, dai ricatti, dalla mercificazione degli esseri umani”.
In Italia, Europa, anziché la libertà agognata trovano un provvedimento di espulsione prima e la reclusione nel Cie ora per tutte e 66 - a Ponte Galeria sono arrivate in realtà in 69, tre sono in evidente stato di gravidanza, vittime di stupro –“Possibile che nessuno abbia incontrato, visto, ascoltato queste 66 donne? Non hai i documenti? Sei nigeriana? Bene, rimpatrio. Sentenza inappellabile. La burocrazia è legge”, ragiona Guido. “Poi nel Centro di identificazione ed espulsione, qualcuno si accorge di loro e spiega che possono richiedere protezione umanitaria. Riempiono fogli, mettono nomi, e aspettano. Ma le Questure competenti sono ora in chiusura estiva, le Commissioni territoriali in pausa, e quindi tutto è fermo. Nel frattempo nessuno le visita, né a livello fisico né psicologico. Qualcuna di loro ci dice di avere problemi di salute. Quando entro con loro nella loro stanza, lontane dagli occhi degli uomini della delegazione, si sentono forse per un attimo libere, libere di poter parlare solo tra donne. Si denudano, si abbassano quello che hanno indosso, ci fanno vedere i genitali, ci indicano pelli arrossate ed infiammate, ci dicono che a Ponte Galeria c'è un medico, un uomo, che dice loro che tutto passa. E che danno a tutte la stessa medicina. Una medicina che non cura. Ma loro no sanno che le cose ‘non passano’. Rimangono lì. Ferite visibili ed invisibili”. E all’uscita, una volta ottenuto l’eventuale status di asilante? “Il rischio che vengano rintracciate dagli aguzzini c’è, ma ci si sta già attivando con le associazioni antitratta del territorio per dare loro tutela”.

Fonte: Vita.it

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