di Valentina Porcheddu
Il 17 agosto Dario Franceschini ha annunciato, tramite il suo account Twitter, il completamento delle procedure per la nomina dei venti direttori dei più grandi musei italiani: «Si volta pagina», ha affermato il ministro. Benché l’aspettativa di colmare «decenni di ritardi» con un concorso di portata internazionale fosse ardua da soddisfare, ieri abbiamo quasi creduto di poterci risvegliare in un paese dove il merito non è una parola vuota buona per tutte le occasioni e deciso a restituire dignità al patrimonio archeologico e artistico, attraverso «l’investitura» delle professionalità più idonee a conservarlo e promuoverlo. Invece, dopo le accese polemiche estive che hanno riguardato i fondi per la ricostruzione dell’arena del Colosseo, l’anastilosi delle colonne del Tempio della Pace ai Fori Imperiali e la mancanza di personale a Pompei, per il Mibact non è ancora tempo di successi incondizionati.
Il bando per la selezione dei «super-direttori» era stato lanciato lo scorso gennaio, allo scopo di aprire l’Italia a candidature di altissimo livello provenienti anche dall’estero. Tuttavia, la pubblicazione delle nomine – effettuate in ultima istanza dal ministro Franceschini per i sette musei di I fascia e dal Direttore Generale Musei Ugo Soragni per quelli di II fascia – suscita perplessità e ben più di un interrogativo sul rispetto dei criteri di scelta previsti dal decreto «rivoluzionario».
Se, infatti, uno dei princìpi cardine per l’ammissione alle prove nonché criterio di peso assoluto nella valutazione era la «specifica esperienza professionale documentata nell’ambito della tutela, della gestione e della valorizzazione del patrimonio culturale», ci si chiede come mai nei curricula di Carmelo Malacrino e di Gabriel Zuchtriegel – rispettivamente designati al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e al Parco Archeologico di Paestum – non ci sia traccia di tali competenze per il livello auspicato. Quarantaquattro anni il primo, trentaquattro il secondo, hanno entrambi un percorso formativo di qualità e possono vantare una discreta produzione scientifica, come d’altra parte migliaia di giovani italiani ed europei (Zuchtriegel è tedesco) che cercano lavoro nel campo dei beni culturali.
Tra i non italiani, spicca per la giovane età Gabriel Zuchtriegel, che andrà a dirigere il parco archeologico di Pestum. Nato a Weingarten, nel Baden-Wurttemberg, Zuchtriegel si è laureato in Archeologia classica, preistoria e filologia greca alla Humboldt-Universitat di Berlino e ha poi conseguito con lode il Dottorato di ricerca in Archeologia classica presso l’Università di Bonn. Agli Uffizi di Firenze andrà un altro tedesco, Eike Schmidt, storico dell’arte. E «stranieri» sono anche molti altri direttori di musei e Pinacoteche.
Per tornare all’archeologia, qual è dunque l’asso nella manica dei due eletti, la dote che fa la differenza e che consentirà loro di gestire un polo archeologico complesso come quello di Paestum (il Parco comprende l’area archeologica e il Museo Narrante del Santuario di Hera Argiva alla Foce del Sele e il Museo Nazionale di Paestum, che ospita la celebre Tomba del Tuffatore) e un museo che non ha mai decollato malgrado l’imponente presenza dei Bronzi di Riace?
Il cervello in fuga
Un ruolo di management dei beni culturali l’hanno già ricoperto, invece, Eva Degl’Innocenti e Paolo Giulierini, ai quali sono stati assegnati i Musei Archeologici Nazionali di Taranto e Napoli. Degl’Innocenti è un ex cervello in fuga che rientra in Italia. Un bell’investimento, senza dubbio. Se non fosse che la brillante trentanovenne è specialista di archeologia medievale e arriva dal Centro d’interpretazione Coriosolis della Comunità dei Comuni Plancoët Plélan in Bretagna passando per il Museo Nazionale Francese del Medioevo di Parigi. Che ci fa dunque a Taranto, città che ospita una delle più ricche e splendide collezioni di antichità magno-greche?
L’etruscologo
La stessa domanda sorge nello scorrere il profilo scientifico di Giulierini (classe 1969): etruscologo che dirige dal 2001 il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona, è chiamato ora alla testa del Museo di Napoli, da decenni vittima di accorpamenti e scorporamenti «politici» con Pompei, il più prezioso scrigno al mondo della romanità. Eppure, la «specifica competenza attinente le collezioni e/o le raccolte del museo o dei musei per i quali si è presentata domanda» era un’altra delle basi fondamentali del concorso. Viste le lampanti incongruenze, la giovane età dei neo-direttori, le «quote-rosa» e l’introduzione di esperti stranieri non garantiscono, pur essendo parametri apprezzabili, la correttezza e la cura delle scelte compiute dal Mibact.
Ancora una volta, si perde di vista l’obiettivo principale, vale a dire trasformare un patrimonio archeologico già di per sé attraente, in un’opportunità di conoscenza e arricchimento culturale per tutti (addetti ai lavori, cittadini e turisti). Senza dimenticare l’indotto economico che potrebbe derivare dalla valorizzazione di musei e siti affidati a chi ne ha reali capacità di sviluppo. Dopo aver confidato in una possibile svolta, abbiamo l’impressione di ritrovarci al solito «incrocio» di spartizioni indiscriminate d’incarichi. E se non ci sembra, come proclamato ieri da Franceschini, di assistere a un «passaggio storico», ci auguriamo almeno di non dover tornare – con le nuove «pedine» ministeriali – fino alla casella di partenza.
Fonte: Il manifesto
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