di Matteo Cresti
Sotto i temporali di metà agosto, infuria la polemica sui migranti e le dure parole, poi in parte smentite, di mons. Galantino.
Salvini continua con le interviste e le parole di fuoco rivolte contro i “vescovi comunisti”, contro i vescovi che quando parlano danno sempre fastidio a qualcuno. Ma c’è modo e modo di argomentare. Quando i vescovi tuonano contro l’ideologia gender o il matrimonio omosessuale, si risponde con solide argomentazioni sul perché la loro posizione non è ricevibile dal punto di vista dello stato.
Ma Salvini ha ben capito che questo non è lo stile che paga. Si potrebbe argomentare che la Chiesa sta esprimendo un’opinione etica, rispettabile, ma che non si può tradurre in azioni politiche concrete, data la scarsità delle risorse o la sua inopportunità. Invece di attaccare sul merito, o spiegare perché gli immigrati non devono o non possono essere accolti ecco che i vescovi vengono bollati come “comunisti” o abbelliti di epiteti volti a delegittimare la loro posizione.
Ecco solo l’ultima delle dichiarazioni del Matteo leghista (la Repubblica del 17 Agosto) “Non ricordo vescovi che utilizzano certe parole spudorate e volgari contro un partito politico che rappresenta milioni di italiani che vanno a messa tutte le domeniche e pagano le tasse. Cittadini che poi magari danno anche l’8 per mille alla stessa Chiesa”. Quale è il sottointeso di quest’affermazione?
Salvini sembra voler dire che le gerarchie cattoliche non hanno rispetto per le scelte politiche dei propri fedeli praticanti. E dovrebbe stare anche attenta, perché quegli stessi fedeli che offende sono anche coloro che poi li mantengono, attraverso gli oscuri meccanismi dell’otto per mille. Come a dire: cara Chiesa stai attenta a quello che dici, perché sputi nel piatto dove mangi.
Si dovrebbe innanzitutto ricordare che non è che si possono applaudire un giorno le posizioni della chiesa e dirsi ferventi difensori della fede cattolica quando fa comodo (vedi il matrimonio gay) e il giorno dopo (immigrati) mandare a quel paese i vescovi perché dicono cose scomode. Se si è cattolici lo si è sempre, sia quando il papa dà la carota, sia quando usa il bastone.
Inoltre a Salvini servirebbero un po’ di lezioni di teologia fondamentale: uno dei principi cardine dell’organizzazione della Chiesa Cattolica è quello che papa Celestino I (422-432) riassunse nel motto “populus docendus non sequendus” (il popolo va educato non seguito).
Il clero, e la sua rigida gerarchia, sono i detentori della corretta interpretazione delle scritture e i conoscitori della volontà di Dio, a loro bisogna obbedire, perché loro conoscono quello che è doveroso fare. Per giungere all’interpretazione personale e in coscienza propria delle scritture bisognerà attendere la Riforma. Un cattolico per definizione deve obbedire e seguire il suo vescovo e il suo papa, per quanto la voce del popolo sia forte non conta nulla (non vale il motto vox populi, vox Dei). Inoltre bisognerebbe ricordare che Gesù stesso diceva di se stesso che veniva a “portare la spada”. Essere cristiani richiede un cambiamento di vita radicale, o almeno il tentativo di vivere il comandamento evangelico, e di conseguenza di vestire gli ignudi e accogliere i forestieri (Mt. 25,31-46).
Se un cattolico non riesce a vivere in questo modo, dovrebbe cercare di migliorare la propria fede. Se non vuole vivere così dovrebbe abbandonare la fede. Sempre che importi qualcosa la coerenza. Essere “veri cattolici” non è una questione di mezze misure, citando il vangelo è questione di “sì, sì; no, no”(Mt. 5,37). L’ipocrisia quotidiana non fa parte del vangelo.
Se a Salvini non sta bene il vangelo farebbe bene a rinnegarlo, non a tentare di nasconderlo o modificarlo.
Fonte: Caratteri liberi
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