La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 4 agosto 2015

Un'Unione solo di carta e di metallo


di Raffaele K. Salinari
Che ruolo ha l’Euro — come moneta di metallo e di carta — nella crisi attuale dell’Unione Euro­pea? Che signi­fi­cato rive­ste oggi per l’identità euro­pea que­sta valuta che acco­muna l’economia di ben 19 dei 28 Paesi comu­ni­tari? Per rispon­dere biso­gna par­tire dall’originale signi­fi­cato di una moneta quando ancora esi­ste­vano le monete nazio­nali. Sin dai tempi anti­chi il conio di una moneta aveva alta valenza sim­bo­lica, sacro addi­rit­tura, prima che economica.
Una moneta tra­smet­teva prima di tutto un signi­fi­cato legato all’auctoritas di chi la bat­teva, di chi, per la pos­si­bi­lità stessa di coniarla, tra­spo­neva nella moneta la legit­ti­mità del suo potere tem­po­rale che, però, deri­vava diret­ta­mente da quello spirituale.
Nel corso del tempo assi­stiamo ad una pro­gres­siva per­dita dell’originale signi­fi­cato, con la con­se­guente tra­sfor­ma­zione della moneta in sem­plice oggetto quan­ti­ta­tivo, che abban­dona via via tutti i signi­fi­cati e le ascen­denze sim­bo­li­che per tra­sfor­marsi in un puro stru­mento mer­can­ti­li­sta, senza più tra­smet­tere una idea forte, un signi­fi­cato pro­fondo, ideale. Una facile osser­va­zione a riguardo di que­sta dege­ne­ra­zione, che ha nell’Euro la sua forma attual­mente più avan­zata, può essere fatta osser­vando le monete anti­che. Così pos­siamo vedere come presso i Celti i sim­boli raf­fi­gu­rati sulle monete metal­li­che tro­vano spie­ga­zione solo se si cono­sce la sim­bo­lo­gia drui­dica, il che implica un inter­vento di tipo magico di altis­simo livello. In tempi meno remoti invece, ad esem­pio quelli dell’antico impero romano, non solo tro­viamo l’effige dell’imperatore, noto­ria­mente figura semi­di­vina, ma anche una serie di motti che, per così dire, sin­te­tiz­zano una visione poli­tica: la moneta come epi­tome di una visione del mondo. Que­sta moda­lità va avanti sino al Medio Evo e si spinge nel Nuovo Mondo sino all’attuale con­fi­gu­ra­zione del dol­laro sta­tu­ni­tense, sul quale i sim­bo­li­smi di tipo mas­so­nico, la pira­mide tronca con l’occhio onni­veg­gente, si affian­cano al motto stesso degli Stati Uniti: E plui­ri­bus Unum, da mol­te­plice all’uno, sin­tesi dell’unità nella diver­sità, men­tre su tutti cam­peg­gia la fede nella mis­sione tra­scen­den­tale, nel destino stesso degli Usa: In God We Trust, cre­diamo in Dio; in altre parole, que­sta moneta è un vei­colo della Sua volontà.
Anche l’Europa pre-Euro aveva la stessa tipo­lo­gia di moneta: come dimen­ti­care la Lira post bel­lica con l’effige della Repub­blica, splen­dida donna col capo cinto di spi­ghe di grano, un richiamo a Cerere ed alla cen­tra­lità della vita con­ta­dina, o il for­gia­tore che bat­teva sull’incudine delle cin­quanta Lire nella sua posa da atleta greco, omag­gio alla nuova civiltà del lavoro? E la cor­nu­co­pia por­ta­for­tuna sulla moneta da una Lira, spe­cu­lare al timone di una barca a remi? O, ancora, le varie monete car­ta­cee con i volti delle figure più rap­pre­sen­ta­tive della sto­ria ita­lica, e non solo ita­liana, da Dante a Volta, da Cara­vag­gio a Verdi? Nelle altre nazioni euro­pee la vicenda è simile e non vi è neces­sità di dilun­garsi. Tutto que­sto per dire che la moneta rac­chiude, se pur in modo ora­mai resi­duale — ma non scor­diamo che i sim­boli agi­scono su di noi e sulla nostra per­ce­zione del mondo anche quando di essi non siamo con­sa­pe­voli — una valenza non solo quan­ti­ta­tiva bensì anche qua­li­ta­tiva, cioè la capa­cità di vei­co­lare e rap­pre­sen­tare una idea e dei valori non solo nel senso mer­can­tile che oggi ha com­ple­ta­mente con­ta­mi­nato que­sto ter­mine, ma di livello spirituale.
Ed eccoci allora all’Euro: nes­sun motto, nes­suna effige di per­so­naggi che pos­sano essere rap­pre­sen­tanti di un pas­sato che parla della visione di un domani comune, nes­sun monu­mento che amal­gami le cul­ture euro­pee; solo ponti che fini­scono nel nulla, archi meta­fi­sici che si stem­pe­rano nella neb­bia, vetrate mute, por­tici ina­bi­tati. Per­mane un accenno ad un pro­gramma non certo ideale quanto ideo­lo­gico, attra­verso quella car­tina muta che vede l’Europa esten­dersi dall’Atlantico agli Urali, esclu­dendo benin­teso la Tur­chia e le sponda Sud del Medi­ter­ra­neo! Solo nelle monete– ancora loro! — tro­viamo imbal­sa­mato un signi­fi­cato sim­bo­lico resi­duale, esat­ta­mente lo spec­chio del destino attuale di una Unione sem­pre più di fac­ciata, e di carta, e sem­pre meno di sostanza, come le sue ora­mai sva­lu­ta­tis­sime monete sulle quali si osti­nano a cam­peg­giare ancora i vec­chi miti fon­da­tori: il ratto d’Europa, l’Aquila Ger­ma­nica, l’Uomo Vitru­viano; tutte però legate ad una sin­gola nazione e non ad un pro­getto comune.
Eppure que­ste monete ci par­lano ancora e dun­que, forse, per uscire, sul piano pro­fondo, da que­sta crisi iden­ti­ta­ria che rischia di tra­vol­gere le radici dalle quali doveva nascere l’albero nuovo delle cit­ta­di­nanza euro­pea, andrebbe ripen­sata la gra­fica dell’Euro, ripri­sti­nando i volti ed i sim­boli della comune avven­tura che con­ce­pi­rono i nostri visio­nari Padri Fondatori.

Fonte: il manifesto

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