La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 30 agosto 2015

Podemos, l'alternativa convincente

Intervista a Albano Dante Fachin Pozzi di Luca Tancredi Barone
Il 27 set­tem­bre in cin­que milioni e mezzo sono chia­mati alle urne per eleg­gere il nuovo Par­la­ment. Le ele­zioni le ha con­vo­cate il pre­si­dent de la Gene­ra­li­tat Artur Mas, che ambi­sce a tor­nare a gui­dare 7,5 milioni di cata­lani, ma sta­volta con il dichia­rato obiet­tivo che siano le ultime ele­zioni come comu­nità auto­noma spagnola.
L’abilità di Mas è stata di saper caval­care nei quasi cin­que anni in cui è stato pre­si­dente l’ondata cre­scente di riven­di­ca­zioni iden­ti­ta­rie e indi­pen­den­ti­ste e di averla pie­gata a suo favore. Capo dell’alleanza for­mata dai due par­titi di destra mode­rata Con­vèr­gen­cia i Unió (CiU), Mas ha gover­nato i primi due anni in mino­ranza gra­zie all’appoggio dei Popo­lari con cui con­di­vi­de­vano l’impostazione eco­no­mica. Mol­lati i popo­lari, aveva scom­messo con nuove ele­zioni di capi­ta­liz­zare il suo appog­gio ai movi­menti indi­pen­den­ti­sti. Ma andò male: il governo di mino­ranza si è dovuto appog­giare alla stam­pella di Esquerra Repu­bli­cana, par­tito che era di sini­stra e ora sem­pre più con­cen­trato sul tema dell’indipendenza.
La legi­sla­tura era nata con lo sto­rico obiet­tivo di cele­brare un refe­ren­dum di auto­der­mi­na­zione ai cata­lani: stra­te­gia ideale per poter nascon­dere qual­siasi altro tema sociale ed economico.
Obiet­tivo rag­giunto, in parte: un Par­la­mento in cui le forze di sini­stra erano in mag­gio­ranza ha appro­vato nel 2014 una legge che per la prima volta per­mette ai cata­lani di potersi espri­mere sulla forma di stato (e su molte altre que­stioni). Ma il Pp si è lan­ciato alla giu­gu­lare di Mas, con l’unico risul­tato di tra­sfor­marlo in un mar­tire. La legge è stata impu­gnata (e ridi­men­sio­nata dal Tri­bu­nale costi­tu­zio­nale), il refe­ren­dum vie­tato due volte e quello che final­mente si è riu­scito a cele­brare il 9 novem­bre scorso è stato un atto infor­male (ma che ha por­tato alle urne ben 2 milioni e 300 mila per­sone, l’80% delle quali ha detto che voleva uno stato indi­pen­dente, e il 10% uno stato con mag­giore autonomia).
Qual è il vostro obiet­tivo minimo nelle urne?
"Oggi ci tro­viamo davanti a ele­zioni sto­ri­che. Albano Dante Fachin Pozzi è il numero 5 di Cata­lu­nya sí es pot, ed è il can­di­dato desi­gnato da Podem. Fachin è di ori­gine ita­liana: suo padre era di Priuso, fra­zione di Soc­chieve in pro­vin­cia di Udine, emi­grato in Argen­tina, dove Fachin è nato nel 1976. Vive in Cata­lo­gna dal 1992. Dopo qual­che stu­dio di filo­lo­gia inglese, è diven­tato gior­na­li­sta, fon­da­tore di caf­feam­bl­let, famoso per inchie­ste sul mal­go­verno sani­ta­rio di Mas. «Vin­cere sarà dif­fi­cile», ammette subito.
Almeno 25 seggi (su 135, ndr). Ma il nostro discorso è dif­fi­cile. Non diciamo né “andiamo dritti all’indipendenza, la Spa­gna ci sta rubando” né “que­sti cata­lani sono pazzi, fer­mia­moli”. Noi gio­chiamo su un altro asse. Par­liamo a quel 30% di per­sone che non fanno parte del 50% di indi­pen­den­ti­sti, ma sono favo­re­voli all’autodeterminazione."
Spie­gando meglio…
"Il pro­cesso che ci ha por­tato a que­sta lista nasce dal Pro­cesso Costi­tuente, un movi­mento sca­tu­ri­to­mesi prima di Pode­mos il cui mani­fe­sto poli­tico è pra­ti­ca­mente iden­tico a quello di Pode­mos alle Euro­pee: rifon­da­zione della società basata su eco­no­mia più giu­sta, demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva, diritti. Pro­pu­gniamo un “pro­cesso costi­tuente coor­di­nato”. Il pro­cesso a favore della sovra­nità ha un inne­ga­bile pre­gio: ha la capa­cità di rom­pere la strut­tura dello stato frutto della Costi­tu­zione del 1978. Sul piano ter­ri­to­riale, ma è chiaro che chiede di eser­ci­tare più demo­cra­zia. La bat­ta­glia per gestire le pro­prie risorse e avere gli stru­menti per avvi­ci­nare il potere alle per­sone è la stessa in qual­siasi parte della Spa­gna. Il pro­cesso costi­tuente coor­di­nato è quello che affra­tella le varie lotte. I nuovi sin­daci dimo­strano che quando c’è la volontà poli­tica, qual­cosa si può fare ed è que­sto che legit­tima il resto delle lotte. Il che non vuol dire subor­di­nare la lotta nazio­nale, ma col­lo­carla in un con­te­sto più ampio."
Se vince la lista di Mas, faranno la dichia­ra­zione uni­la­te­rale di indi­pen­denza entro 18 mesi.
"Lo sto­rico Josep Fon­tana, non certo sospetto di spa­gno­li­smo, sostiene che ci sono solo due modi nella sto­ria di fare l’indipendenza. A can­no­nate oppure nego­ziando. E qui i can­noni non li abbiamo. Gli argo­menti di Junts pel sí sono che ce ne andiamo per­ché “ci siamo stan­cati”. Ma dove si va e come uno se ne va, non è chiaro."
Siete poco rivo­lu­zio­nari?
"La rivo­lu­zione si può fare tenendo pre­sente il con­te­sto in cui ci si muove. Fon­tana dice anche: uti­liz­ziamo gli stru­menti dell’autogoverno che abbiamo per met­terlo a dispo­si­zione delle classi popo­lari, e da lì con­ti­nuiamo a fare pres­sione. Fac­cio un esem­pio. Il Par­la­ment oggi non ha com­pe­tenze in poli­tica estera. Ma imma­gina che voti per una Cata­lo­gna libera dal Ttip, l’accordo di com­mer­cio segreto che stanno nego­ziando Usa e Europa. Sarebbe il modo in cui i cata­lani direb­bero davanti al mondo: stiamo lot­tando per recu­pe­rare sovranità."
Quali sono gli sce­nari pos­si­bili per que­ste ele­zioni?
"Ne vedo quat­tro. Nel primo, Mas e i suoi otten­gono la mag­gio­ranza dei seggi – anche se non arri­ve­ranno alla mag­gio­ranza dei voti. Dif­fi­cile. Comun­que, intanto dovreb­bero for­mare un governo, ipo­tesi ardua visto che sono ete­ro­ge­nei. Ma dovranno anche pren­dere deci­sioni su temi scot­tanti, come la pri­va­tiz­za­zione della sanità o dell’acqua. Noi cer­che­remo di fer­marli, e per que­sto con­tiamo con la Cup."
Secondo sce­na­rio.
"È il più inte­res­sante. Vin­cono, ma senza mag­gio­ranza. A quel punto la Cup, che cre­scerà molto, sarà deter­mi­nante. E avranno biso­gno di noi per tenere a bada Mas. Potremo imporre le prio­rità sociali, che sono le stesse della Cup. Terzo sce­na­rio, il più peri­co­loso. Sono ancora più deboli, e la Cup non gli basta. A quel punto Mas potrebbe sgan­ciarsi dal pro­getto indi­pen­den­ti­sta e nego­ziare con socia­li­sti o Ciu­ta­dans. Per­de­remmo il fronte sociale. Magari però Esquerra si stacca e potrebbe venire a lot­tare con noi nelle piazze."
Quarto sce­na­rio.
"Il più com­pli­cato. La situa­zione si blocca, e Mas con­voca nuove ele­zioni. A quel punto, secondo me, si ria­prono i giochi."
Se vi sen­tite così vicini alla Cup, per­ché non andate con loro?
"Per­ché ci sem­bra che la stra­te­gia non sia quella giu­sta. Poi magari ci sba­gliamo: avremo dav­vero una rivo­lu­zione socia­li­sta, ma non credo. La Cup dovrà sce­gliere quale con­trad­di­zione pesa loro meno: stare con Mas, con cui non con­di­vi­dono nulla a parte la que­stione nazio­nale, o con noi che abbiamo gli stessi obiet­tivi sociali ma non cre­diamo che la dichia­ra­zione uni­la­te­rale di indi­pen­denza sia la strada giusta."
Per­ché a livello nazio­nale l’alleanza IU-Podemos è impos­si­bile, e a livello locale invece sì?
"Sic­come sono un indi­pen­dente, nel con­si­glio di Pode­mos sono solo osser­va­tore senza voto, per cui parlo da “esterno”. In Cata­lo­gna era chiaro che le lotte che abbiamo orga­niz­zato le abbiamo fatte insieme. Penso che in Spa­gna, sia per­sino più sem­plice: c’è un disa­stro, lavo­riamo insieme. Non posso dimo­strarlo, ma sono con­vinto che qui Pode­mos assieme a Icv (e Iu) prende più voti che se fos­simo andati cia­scuno per conto suo."

Fonte: Il manifesto

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